giovedì 13 febbraio 2020

Discorso dell'Ambasciatore Habsburg in occasione della celebrazione dei rapporti diplomatici tra Ungheria e Santa Sede


In occasione della visita del Presidente dell’Ungheria S.E. János Áder, per celebrare il centenario delle relazioni diplomatiche tra l’Ungheria e la S. Sede, nonché il 30° anniversario del loro ristabilimento, l'Ambasciata d'Ungheria presso la S. Sede ha promosso un concerto nella Sala Vasari di Palazzo della Cancelleria il 13 febbraio 2020.
All'inizio dell'evento l'Ambasciatore d'Ungheria Eduard Habsburg-Lothringen ha pronunciato un discorso di cui pubblichiamo il testo.

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Con la firma di un breve accordo trent’anni fa, il 9 febbraio 1990, venivano ristabilite le relazioni diplomatiche tra l’Ungheria e la Santa Sede. Si era nel bel mezzo del cambiamento di regime in Ungheria ed è interessante notare che la ripresa delle relazioni diplomatiche con la S. Sede abbracciò praticamente tutto l’arco di quell’importante processo storico, del quale si qualifica pertanto come uno dei momenti emblematici.
I primi passi in tale direzione furono compiuti, nell’estate-autunno del 1989, sotto l’ultimo governo comunista, quando l’Ungheria si chiamava ancora Repubblica Popolare. Nelle carte preparatorie riservate si valutavano addirittura anche gli effetti “sconvenienti” di avere relazioni formali con la S. Sede. Invece, la firma dell’accordo, per opera del Primo Ministro Miklós Németh e del Cardinale Agostino Casaroli, avvenne già dopo la proclamazione della repubblica, e dopo l’approvazione della legge sulla libertà religiosa e di coscienza che gettò le basi per la rinascita di un nuovo rapporto tra lo Stato e la Chiesa. Infine, lo scambio effettivo dei rappresentanti diplomatici, nella persona del Nunzio Mons. Angelo Acerbi e in quella dell’Ambasciatore Sándor Keresztes, ebbe luogo nell’estate del 1990, sotto il primo governo liberamente eletto.
Per valutare il contributo della Chiesa cattolica e della Santa Sede al cambio di regime in Ungheria basterebbe citare le parole del summenzionato ultimo capo di governo comunista che ringraziò il Cardinale Casaroli per aver “sempre potuto contare sul sostegno e sull’aiuto della Chiesa cattolica” nel realizzare il passaggio alla democrazia in maniera pacifica (cfr. Rapporti diplomatici tra la Santa Sede e l'Ungheria (1920-2015), Libreria Editrice Vaticana, 2016, p. 344).
Certo, molta strada rimaneva ancora da fare, e questo “camminare insieme” è stato validamente sostenuto dagli accordi bilaterali. Prima di tutto da quello del 1990 che sancì il ristabilimento delle relazioni diplomatiche e riconobbe la rilevanza del Codice di diritto canonico nel regolamento delle questioni riguardanti la Chiesa cattolica. Seguì poi l’accordo del 1994 sull’assistenza religiosa alle Forze Armate e, infine, quello del 1997, il cosiddetto “Accordo Vaticano” su questioni finanziarie e patrimoniali. Quest’ultimo è stato, poi, modificato nel 2013 per adeguarlo ai cambiamenti legislativi intervenuti nel frattempo in Ungheria.
Tra i momenti più belli di questi trent’anni possiamo rievocare i due viaggi apostolici di San Giovanni Paolo II che contribuirono a confermare gli ungheresi nella fede. Quello dell’agosto 1991 che coinvolse diverse città, e quello del settembre 1996, in occasione del millennio dell’Arciabbazia benedettina di Pannonhalma. La Sede Apostolica non ha mancato di inviare in Ungheria qualificate rappresentanze in occasione di diverse ricorrenze civili e religiose.
Non posso tralasciare di menzionare che anche quest’anno siamo in attesa del Successore di Pietro, in persona o tramite il suo legato a latere, per le celebrazioni del Congresso Eucaristico Internazionale di Budapest, un evento inteso a promuovere non solo la devozione, ma anche l’unità della Chiesa, l’unità dei cristiani, e la fratellanza tra le nazioni. Sua Eccellenza il Presidente Áder non solo vi ha concesso il suo Alto Patronato, ma ha accettato altresì di presiedere il Comitato d’onore del Congresso medesimo.
Tornando agli eventi di rilievo vorrei menzionare i concerti che l’Ungheria ha offerto nel 2000 a Giovanni Paolo II e nel 2011 a Benedetto XVI, in occasione della Presidenza ti turno ungherese dell’Unione Europea. Nel 2001, invece, fu l’Ungheria cristiana a presentarsi con la mostra Hungariae Christianae Millennium ai Musei Vaticani. È stata, quella, un’occasione propizia per rendere visibile e tangibile quanto dieci anni più tardi la nuova Legge fondamentale enunciò, affermando che la nostra Patria mille anni fa fu inserita nell’Europa cristiana e che il cristianesimo ha avuto importante ruolo nella preservazione della nazione.
Tante ancora sono state le occasioni di collaborazione tra l’Ungheria e la Santa Sede in questi anni e, mentre ne facciamo memoria, vogliamo rafforzare l’impegno di proseguire insieme.
Senza voler abbandonarci solamente alle memorie storiche, è tuttavia doveroso ricordare quest’oggi anche il centenario della prima ripresa delle relazioni diplomatiche bilaterali. A maggior ragione perché nel già citato Accordo del 9 febbraio 1990 le Parti non fecero altro che “ripristinare ufficialmente” le relazioni diplomatiche, intese nel senso odierno, che avevano allacciato nel 1920 e che solo sotto pressione straniera furono interrotte nel 1945. Cento anni fa il gesto della Santa Sede fu salutato con tanto entusiasmo a Budapest che in Vaticano esclamarono: “così non è stato ancora ricevuto nunzio da nessuna parte del mondo”. La gioia fu sicuramente segno della speranza che con l’aiuto del papa l’Ungheria sarebbe riuscita a risollevarsi dalla dolorosa condizione politica e materiale in cui versava dopo la I Guerra Mondiale.
Quest’anno gli ungheresi ricordano, appunto, anche quelle dolorose condizioni di cent’anni fa. Ma lo vogliono fare guardando “non tanto quello che avrebbe potuto essere (e non è stato), ma piuttosto tutto ciò che ci aspetta e non possiamo più rimandare” – proprio come proposto da Papa Francesco lo scorso 1 giugno a Csíksomlyó (Sumuleu Ciuc), il Santuario mariano più caro agli ungheresi. L’Anno della Coesione Nazionale che celebriamo quest’anno vuole realizzare a suo modo quanto Papa Francesco ci ha proposto: “Le complesse e tristi vicende del passato non vanno dimenticate o negate, ma non possono nemmeno costituire un ostacolo o un argomento per impedire una agognata convivenza fraterna.” Intende quindi essere non solo un momento di riflessione e di consapevolezza nazionale, ma anche un gesto per costruire il futuro pacifico dei popoli che vivono nel Bacino dei Carpazi. Un futuro basato sulla mutua comprensione e collaborazione, per favorire la riunificazione dell’Europa smembrata dalle tragedie del XX secolo (cfr. Legge N. XLV del 2010 sulla testimonianza alla coesione nazionale).
In questa impresa la Nazione ungherese continua a contare, come ha fatto sempre, sul valido aiuto della Santa Sede, grato per la vicinanza che il Successore di Pietro non ha mai mancato di far sentire agli ungheresi.

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