martedì 30 luglio 2019

Hungarian PM Viktor Orbán about Christian freedom, liberal and “illiberal” politics


Excerpts from Hungarian PM Viktor Orbán’s speech at the 30th Bálványos Summer Open University and Student Camp, so called "Tusványos" (27 July 2019, Tusnádfürdő/Băile Tuşnad).
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We call the first change of system [of 30 years ago] “liberal transformation”; and we can call the second either an “illiberal” or a “national” transformation. It may be worth devoting a few sentences to this distinction. We have rethought the relationship between the community and the individual, and put it on a new conceptual basis. In a liberal system, society and nation are nothing but an aggregation of competing individuals. What holds them together is the Constitution and the market economy. There is no nation – or if there is, it is only a political nation. Here in parenthesis we should thank László Sólyom, who during his presidency made a lasting contribution when, in opposition to the concept of the political nation, he elaborated and clarified – in a legal and philosophical sense – the concept of a cultural nation. When there is no nation, there is no community and no community interest. In essence this is the relationship between the individual and society from a liberal point of view.

PM Viktor Orbán (center) at Tusnádfürdő, with Hon. Zsolt Németh MP (left)
and Rt.Hon. Bishop László Tőkés, former MEP (right) - foto: tusvanyos.ro
In contrast to this, the illiberal or national viewpoint states that the nation is a historically and culturally determined community. It is a historically developed configuration, which must protect its members and prepare them to stand their ground in the world for a common cause. According to the liberal view, individual action and who does what – whether they live a productive or unproductive life – is a purely private matter, and must not be subject to moral judgment. By contrast, in a national system, action – individual action – is worthy of praise if it also benefits the community. This must be interpreted broadly. For example, there are our gold medal-winning skaters. An outstanding sporting performance is also an individual performance that benefits the community. If we talk about them, we don’t say that they have won Olympic gold, but that we have won Olympic gold. Their individual performances also clearly benefit the community. In an illiberal or national system, distinguished performance is not a private matter, but has clearly identifiable forms. Such are self-sufficiency and work, creating and securing a livelihood. Such are learning and a healthy lifestyle. Such is paying taxes. Such is starting a family and raising children. And such is orientation in the matters of the nation and its history, and participation in national self-reflection. It is such performance that we recognise, rank, look up to morally and support.

So in terms of the relationship between the individual and society, what has happened in Hungary [after 2010] is something quite different from what happened in 1990, when the liberal transformation took place. But similarly to that transformation, we have put our thinking and culture on a new footing – also in terms of relations between individuals. To put it simply, but to the point, in a liberal system the rule is that one has the freedom to do anything, provided it doesn’t violate the freedom of others. This is the compass of individual action. In parenthesis, the small problem is the question of exactly what it is that doesn’t violate the freedom of others. This is something that’s usually defined by the strongest – but let’s leave that in parenthesis. In contrast to this, what we have now, or what we’re trying to build, follows another moral compass. Going back to a known truth, this states that the definition of the right relationship between two people is not that everyone has the freedom to do anything which does not violate the freedom of another; the correct definition is that you should not do to others what you would not want them to do to you. Furthermore, you should do unto others as you would have them do unto you. This is a different foundational principle.

sabato 20 luglio 2019

L’Ungheria alla Conferenza ministeriale di Washington sulla libertà religiosa


“La persecuzione religiosa è divenuta una delle principali sfide di sicurezza al mondo” – ha affermato Péter Szijjártó, Ministro degli Affari Esteri e del Commercio all’incontro ministeriale di Washington sulla promozione della libertà religiosa. I numeri globali sono impressionanti: l’80% di quelli perseguitati per la loro religione sono cristiani, in tutto 245 milioni di persone, mentre solo l’anno scorso sono state 1200 le chiese cristiane attaccate o danneggiate.

Il Ministro Szijjártó a Washington (foto: Twitter)
Secondo il Ministro Szijjártó è deplorevole che le maggiori organizzazioni internazionali fossero poco inclini a parlare apertamente della persecuzione dei cristiani, come se l’odio contro i cristiani fosse l’ultima forma di pregiudizio accettabile. “Noi rigettiamo i discorsi del politicamente corretto – come lo è la pratica di nascondere la verità – e alziamo la voce a favore dei cristiani perseguitati. Perché se non lo facciamo noi, chi altro lo farà?” – ha detto il Ministro.

Inoltre, il Governo ungherese cerca di sostenere i cristiani perseguitati nel mondo, affinché possano esercitare il loro diritto primario a vivere in pace nella propria patria. In Siria, per esempio, contribuisce a finanziare il funzionamento di tre ospedali cattolici, nell’ambito del Programma “Ospedali Aperti”. Nel Libano, invece, ha sovvenzionato il restauro di 33 chiese. Negli ultimi anni l’Ungheria ha destinato circa 36,5 milioni di dollari al sostegno dei cristiani perseguitati.

All’incontro ministeriale ha partecipato anche il Segretario di Stato per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati Tristan Azbej, il quale ha illustrato i vari interventi del Governo ungherese. Questi, ha specificato, sono “esplicitamente, ma non esclusivamente” a favore dei cristiani.
Il Segretario Azbej a Washington (foto: Twitter)

mercoledì 17 luglio 2019

János Esterházy – al via il processo di beatificazione


Ѐ ufficialmente iniziato, lo scorso 25 marzo a Cracovia, il processo di beatificazione del politico martire, il Conte János Esterházy, promotore della fratellanza tra le nazioni centro-europee. Una Santa Messa solenne è stata celebrata dal vescovo incaricato della pastorale degli ungheresi all’estero, S.E. Mons. Ferenc Cserháti. I fedeli, tra cui autorità ecclesiali e statali della Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno pregato insieme per la beatificazione nonché per la riconciliazione e per la pace tra queste quattro nazioni, che ugualmente possono sentire propria l’eredità di János Esterházy. Sono stati presenti il Segretario di Stato per gli affari religiosi del Governo ungherese, l’On. Miklós Soltész, nonché i parenti del Conte Esterházy, tra cui sua figlia, la Contessa Alice Malfatti-Esterházy.
Messa per János Esterházy a Cracovia (foto: Magyar Kurír)
Nella sua omelia Mons. Cserháti ha ricordato che Dio pone a ciascuno la domanda se si è pronti a collaborare con Lui. Coloro che si uniscono a Dio, spesso intraprendono una strada di sofferenza, di difficoltà, che può contemplare anche il martirio. János Esterházy ha pagato caro l’aver scelto Cristo e la sua testimonianza cristiana. Ma che senso ha sacrificarsi per gli altri, lottare al costo della vita per Dio, per la fede, per il popolo? Senza i sacrifici non ci sono risultati, non c’è gloria e non c’è salvezza – ha risposto il vescovo. János Esterházy ha dato la sua vita per la sua fede cristiana, per il suo amore verso Dio e verso il Prossimo, per la libertà del suo popolo e il sacrificio da sempre i suoi frutti. Noi dobbiamo custodire la sua eredità che aiuta e aiuterà la riconciliazione dei popoli.
La Signora Esterházy ha voluto ringraziare l’Arcivescovo di Cracovia per l’iniziativa, la quale: “ha evidenziato che la collaborazione tra i nostri popoli non va costruita solo sul terreno della politica, spesso piuttosto simile alla sabbia, ma va costruita invece sulla roccia del Cristo Redentore. Davanti a Lui siamo tutti uguali, per Lui non vi è sofferenza o sacrificio inutile, poiché i tesori spirituali che da questi scaturiscono Lui li metterà a beneficio nostro e dei nostri discendenti. Solo in Lui possiamo ritrovarci insieme tutti, di maggioranza o di minoranza, di qualsiasi lingua o nazionalità. Chiedo anch’io al nostro Redentore misericordioso di concederci che il sacrificio di mio padre e quello dei suoi innocenti compagni di martirio, possa darci la grazia di un raccolto centuplo a favore della riconciliazione e della collaborazione nel segno della nostra fede cristiana.”

sabato 13 luglio 2019

Retroscena della visita di Papa Francesco a Csíksomlyó


Una settimana dopo la visita del Santo Padre, la sella del Monte Somlyó si è di nuovo riempita di oltre centomila fedeli per l'annuale pellegrinaggio al Santuario di Csíksomlyó, sabato 8 giugno 2019.
Pellegrinaggio a Csíksomlyó - una settimana dopo la visita del Papa (foto: Romkat.ro)
Trascorse le celebrazioni, a nome dei responsabili dell’organizzazione dell’accoglienza di Papa Francesco a Csíksomlyó (Sumuleu Ciuc) in Romania, la Dott.ssa Márta Bodó ha voluto condividere, sul sito diocesano “Romkat.ro”, alcune impressioni e dei retroscena dello storico evento.

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Papa Francesco durante la Messa a Csíksomlyó (foto: Zsolt Tamási)
Dopo la visita del papa ci sono ancora delle cose da elaborare per poter “imbastire il futuro” – come ha richiesto Papa Francesco nella sua omelia. Ha anche detto che “le complesse e tristi vicende del passato non vanno dimenticate o negate”, così pure le ferite causate vicendevolmente. Non penso che “il lavoro artigianale di tessere insieme il futuro” voglia dire che dobbiamo nascondere queste ferite. Sono convinto che indicare le ferite del passato, ma soprattutto quelle del presente, aiuta a versare acqua pulita nel bicchiere, altrimenti tutto si baserà su fondamenti falsi. Tuttavia le ferite “non possono nemmeno costituire un ostacolo o un argomento per impedire una agognata convivenza fraterna”.

Le ferite, usando la parabola di Papa Francesco dall’ospedale del campo, hanno bisogno di cure. Questo è il compito della Chiesa e della comunità dei fedeli. Curare e curarsi però si può soltanto se sappiamo dove ci fa male e facciamo vedere la ferita dolorante. Finché rimane nascosto, non può avere la sua cura. La riconciliazione viene dopo aver confessato le cose. Con le parole di Papa Francesco: “Il mistero della elezione da parte di Dio, che pone i suoi occhi sul debole per confondere i forti, ci spinge e incoraggia anche noi a dire “sì” per percorrere i sentieri della riconciliazione… chi rischia, il Signore non lo delude!”.

Stiamo elaborando, analizzando, assaggiando le parole del Papa che ci ha lasciato tante cose da fare. Dobbiamo interpretare e capire bene tutto. Dobbiamo ragionare dentro di noi e tra di noi sui significati dei messaggi e sulle possibilità di realizzarli. Alcuni di noi hanno già iniziato questo processo, ci confrontiamo non per litigare oppure per convincere o battere l’altro con le parole, ma per fare un passo avanti sulla via della conoscenza dell’altro e poi su quella della riconciliazione dicendo la verità… Perché Papa Francesco ha rischiato di venire qui lontano, nella sella attraverso strade dissestate per incoraggiarci a rischiare, per dire la verità invece dei pregiudizi superficiali o delle cliché formati l’uno dall’altro, e poi per mettere disinfettante sulle ferite che prima fanno male ma poi però iniziano a guarire.

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Il 1 giugno è iniziato con un diluvio, e tutti dovevano passare in un mare di fango verso il luogo della Santa Messa nella sella del Monte Somlyó. Alcuni hanno dovuto togliere l’impermeabile per far vedere ai controlli della sicurezza cosa avevano con sé. Ogni pellegrino è stato messo alla prova ma ce l’ha fatta. Durante il rosario, in attesa del Papa, ha smesso di piovere, la nebbia si è alzata, e sui grandi schermi si vedevano solo volti sorridenti, nessuno sembrava provato: né chi ha viaggiato tutta la notte, né quelli che sono arrivati con la bici o a piedi o dopo un lungo pellegrinaggio di diversi giorni, e neppure gli organizzatori diocesani, che invece erano stati messi a dura prova il giorno precedente.

Casula usata da Papa Francesco a Csíksomlyó
la
polizia romena ha fatto togliere la scritta in ungherese "Camminiamo insieme"

venerdì 12 luglio 2019

Nomine pontificie in Ungheria: Veszprém e Vác


L’Ambasciata d’Ungheria presso la S. Sede porge fervidi auguri agli eccellentissimi Presuli ungheresi, nominati oggi dal Santo Padre.

Mons. György Udvardy - nuovo Arcivescovo di Veszprém
Mons. György Udvardy, Vescovo di Pécs (Cinquechiese/Quinqueecclesiae) e Vice-presidente della Conferenza Episcopale Ungherese (MKPK) viene trasferito alla sede metropolitana di Veszprém, una delle più antiche diocesi dell’Ungheria, non lontano dal lago Balaton.

Rev. Zsolt Marton - nominato vescovo di Vác
Il Rev. Zsolt Marton, rettore del Seminario Centrale di Budapest viene promosso alla sede di Vác, una affascinante cittadina a Nord della capitale Budapest.

martedì 9 luglio 2019

Amava la Chiesa – 10 anni fa il pio transito di Csaba Ozsvári maestro del sacro


La Croce Missionaria di Budapest,
benedetta dal S. Padre
opera di Csaba Ozsvári (foto: Magyar Kurír)
Uno dei simboli del Congresso Eucaristico Internazionale di Budapest, la “Croce Missionaria” è in viaggio per le diocesi e le comunità ecclesiali dell’Europa Centrale come segno e richiamo. Benedetta da Papa Francesco nel 2017, la Croce reca tra gli ornamenti in stile ungherese arcaico delle piccole teche con le reliquie di diversi santi della regione. Ma la Croce stessa potrebbe essere ritenuta una reliquia in sé. È infatti, opera dell’orafo ungherese, Csaba Ozsvári, membro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro e del Movimento Ungherese di Schönstatt, che dieci anni fa, il 9 luglio 2009, tornava alla casa del Padre in fama di santità.
La morte improvvisa (per arresto cardiaco) di questo padre di famiglia esemplare, avvenuta dopo una Santa Messa devotamente partecipata, è stata vissuta dalla sua comunità come un segno. Ma è stata tutta la Chiesa ungherese ad essere molto toccata dalla scomparsa di questo laico impegnato, uno dei massimi esponenti dell’arte sacra contemporanea ungherese. Sin dagli inizi della sua carriera Ozsvári aveva, infatti, lavorato soprattutto per committenze ecclesiastiche, con uno stile originale che rifletteva, anzi rendeva tangibile, il sacro.
Csaba Ozsvári, in un momento di preghiera durante la processione a Csíksomlyó
Nato nel 1963, Ozsvári ha voluto espressamente dedicarsi all’arte sacra negli anni del regime comunista, quando ciò non era per niente ben vista, al massimo tollerata. Ozsvári però ha voluto coraggiosamente mettere il proprio talento al servizio di Dio: „l’arte sacra è una peculiare forma di evangelizzazione”, diceva. In una conferenza affermò che, sulla scia dei documenti del Concilio Vaticano II, l’arte sacra serve per elevare l’anima a Dio. Era molto preoccupato perciò dello stato dell’arte sacra contemporanea. Per Ozsvári lo sviluppo della propria arte coincideva con un’esperienza del Dio Creatore sempre più piena, e le sue opere divenivano espressioni di tale esperienza sempre più profonda.
Ozsvári è stato immortalato in diversi quadri del suo amico pittore Ádám Kisléghi Nagy
Scriveva di lui uno dei suoi più prestigiosi committenti, il Card. Karl-Josef Rauber: “Non ha voluto cedere alle tendenze individualiste e troppo moderne, le sue opere hanno invece seguito in tutto la viva tradizione dell’arte sacra. Così pure la sua vita di preghiera, tutto il suo atteggiamento, la sua vita familiare mi hanno convinto che egli ha guidato la sua famiglia del tutto secondo la volontà di Dio, ed è stato un bravissimo padre di famiglia e un marito esemplare.” (cfr. „Vértanúink-Hitvallóink”, rivista della Fondazione Mindszenty, N. XXI/3.). Il Cardinale Rauber, già nunzio a Budapest, afferma inoltre di pregare ogni giorno per Csaba Ozsvári, anzi, di chiedere la sua intercessione: “Sono convinto che la beatificazione di questo padre di famiglia sarebbe di enorme aiuto alla Chiesa in Ungheria come pure a molte famiglie europee. Sono convinto che il suo esempio di vita sarebbe una benedizione per ogni famiglia cattolica”.
Amava la Chiesa, e questo amore Ozsvári lo sapeva trasmettere con la sua persona e con i suoi oggetti sacri che tuttora alimentano e sostengono la fede dei sacerdoti e dei fedeli.
L'evangeliario di Ozsvári nelle mani di Papa Francesco, 2017 (foto: OR/Vatican Media)
Praticamente tutte le diocesi ungheresi, come pure la Nunziatura di Budapest, ne possiedono qualche opera, soprattutto delle suppellettili sacre. Diversi sono poi i tabernacoli, le croci pettorali e gli anelli vescovili, nonché i calici che si trovano all’estero. In Vaticano spesso durante la Veglia Pasquale si utilizza il prezioso evangeliario, realizzato da Csaba Ozsvári, dono della Conferenza Episcopale Ungherese a San Giovanni Paolo II nel 1991.
L'evangeliario preparato per Giovanni Paolo II
con la Vergine Maria Patrona Hungariae
Anche in altre occasioni aveva preparato dei regali per il papa. Nel 1997 il suo Vir Dolorum è stato donato a Papa Giovanni Paolo II, mentre durante la visita ad limina del 2008 la Conferenza Episcopale Ungherese ha regalato a Papa Benedetto XVI un suo calice. Ancora nel 1998, invece, era stato sempre Ozsvári a preparare una croce pettorale ed un anello per l’allora Card. Joseph Ratzinger, in occasione del conferimento del premio teologico Stephanus al futuro pontefice.
Un calice Ozsvári per Papa Benedetto XVI, 2008
È stata per la missione cittadina del 2007, cui Budapest aveva partecipato assieme ad altre metropoli europee, che Ozsvári ha preparato la grande Croce Missionaria, ora ripresa per il Congresso Eucaristico Internazionale. Poco prima della sua morte, nell’aprile 2009, Csaba Ozsvári è stato ricevuto, assieme alla famiglia, da Papa Benedetto XVI, cui ha regalato la copia del crocifisso, da lui stesso realizzato per la cappella della comunità ungherese di Schönstatt. La morte lo ha colto proprio accanto a quella cappella, in un piccolissimo ma affascinante villaggio, Óbudavár, sorto non lontano dal Lago Balaton.

Csaba Ozsvári e la moglie ricevuti da Papa Benedetto, 2009 (foto: Osservatore Romano)
È proprio ad Óbudavár che il Movimento Apostolico di Schönstatt ne custodisce la memoria (anche con un libro-ritratto a lui dedicato). Ritengono che Dio abbia scelto Csaba Ozsvári per fare della sua vita e della sua arte un esempio per tutta la comunità ecclesiale, affinché potesse aiutare quanti hanno dedicato la propria vita a Dio nel sacramento del matrimonio.
Ozsvári con la moglie e i figli prima di morire, 2009
Il cuore di Csaba Ozsvári si è fermato improvvisamente, all’età di 46 anni, a Óbudavár, dopo la Santa Messa, nella quale aveva offerto la propria vita. Le sue opere, nate dalla profondità del suo cuore e famose anche a livello internazionale, nonché la sua vita pura e virtuosa sono portatrici di un importante messaggio. Pregava costantemente per i sacerdoti, che sempre onorava per la loro vita devota ed aiutava con tutte le sue energie. Il Movimento Ungherese di Schönstatt si prepara a introdurre la causa di beatificazione di Csaba Ozsvári.
 
(di Márk Aurél Érszegi)
 
Csaba Ozsvári, Cavaliere
dell'Ordine Equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme
(foto: M. Hidvégi)

giovedì 4 luglio 2019

Invece dell’emigrazione sostenere i giovani – delegazione religiosa etiope in Ungheria


Una delegazione ecumenica dall’Etiopia ha fatto visita a Budapest lo scorso 17 e 18 giugno scorso, guidata dal Cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba, con Samson Bekele Demissie, direttore generale della società per bambini e famiglie della Chiesa ortodossa etiope, e Girma Borishie Bati, vicepresidente del sinodo dell’Etiopia Centrale della Chiesa evangelica etiope.

Il Card. Souraphiel e la delegazione etiope in visita al Primo Ministro Orbán (foto: kormany.hu)
I tre leader religiosi sono stati ricevuti dal Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán e dal vice primo ministro Zsolt Semjén. Durante l’incontro ufficiale, la delegazione etiopica ha ribadito che le loro chiese sono contro l’emigrazione e quindi, il loro scopo è quello di sostenere i giovani a restare nella loro patria. Hanno voluto, pertanto, ringraziare il Governo ungherese per le borse di studio con cui tanti giovani etiopi possono studiare in Ungheria, per poi tornare a casa, a contribuire alla costruzione del proprio paese.