venerdì 4 marzo 2016

La “dicotomia” del giudizio sul Cardinale Mindszenty



Mons. Angelo Acerbi
(foto: Ondrej Cukan)
Abbiamo celebrato il 3 marzo il settantesimo anniversario della presa di possesso, da parte del Cardinale Mindszenty, della propria Chiesa titolare di S. Stefano Rotondo. La comunità ungherese e i graditi ospiti hanno seguito emozionati la celebrazione ed il sermone, molto toccante, di S.E. Mons. Angelo Acerbi, l’unica persona presente in quella chiesa, abbastanza fredda, che aveva ancora incontrato il Card. Mindszenty. Al termine della messa il Presidente della Fondazione Ungherese Mindszenty, l’Arciduca Michele d’Asburgo-Lorena ha letto la preghiera per la beatificazione del Cardinale.

Negli ultimi giorni, per la prima volta dopo decenni, ho riletto le “memorie” di Mindszenty, pubblicate nel 1974. Era un libro che aveva emozionato tutti in quel tempo e che trovavo nella biblioteca privata di tutti gli amici dei miei genitori. Un libro forte, nel quale il Cardinale esule prova a spiegare il suo punto di vista su quello che succedeva nella sua amata patria, sugli eventi del suo processo farsa e la prigionia – e perché ha fatto ciò che ha fatto. Leggendolo mi rendevo conto che era soprattutto un libro politico, un resoconto sulla storia, sugli eventi, sulle strutture. Ci sono in esso pochi luoghi dove il Cardinale parla della sua vita spirituale, della sua relazione con Dio. Quei pochi passaggi, per esempio quando spiega cosa significhi la preghiera dei salmi per un uomo in prigione, mi hanno toccato nel più profondo del cuore. È qui che si incontra non solo il „caso” Mindszenty, non solo il “problema”, come spesso era visto anche da parte della Chiesa di Roma, ma un uomo che cammina verso la santità.

Forse questo è una problematica centrale della figura del Cardinale. La sua profondità spirituale è stata forse oscurata dal grande dramma della situazione politica nella quale la sua vita si svolgeva. Ciò ha fatto sì che chiunque parlava di Mindszenty presto si trovava a scegliere tra due campi. C’era chi lo vedeva come un problema che, per la sua presenza e per le sue azioni, impediva un vero dialogo fruttuoso tra i protagonisti della “Ostpolitik”, con Agostino Casaroli in prima fila. Altri, invece, vedevano quell’avvicinamento come totalmente sbagliato e guardavano Mindszenty come “l’unico giusto” che è stato sacrificato nel nome di “compromessi tiepidi”. Vedete come in questa dicotomia, non ci sia molto spazio per la dimensione spirituale, della santità?

In questi tempi, quando pure in altri continenti sembra ripresentarsi lo stesso problema, mi sembra opportuno richiamare un detto del Cardinale Franz König che potrebbe aiutare a superare quella sfortunata dicotomia. Lui diceva: “Ci vogliono tutti e due: le trattative ed i martiri”.

È, infatti, di un alto valore per la Chiesa salvaguardare le strutture necessarie, per ragioni ecclesiologiche,  al proprio lavoro pastorale, per la vita sacramentale. Ed è di un altrettanto alto valore la testimonianza dei martiri che vanno in prigione, soffrono e muoiono per la loro fede.

Non serve contrapporre l’uno all’altro, così nel presente, come nel passato. In altre parole, non si deve essere esclusivamente o “per Mindszenty” o “per la Ostpolitik”.

L’esclusione non è cat-holos, cattolico. Nella Chiesa c’è spazio per tutti.

Eduard Habsburg-Lothringen, Ambasciatore d’Ungheria

Preghiera per la beatificazione
(foto: Ondrej Cukan)

Autoritá presenti alla celebrazione
(foto: Ondrej Cukan)

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