La Madonna della Cappella Ungherese in Vaticano |
Il culto della Vergine Maria in
Ungheria è una devozione antichissima che risente anche di certi elementi
pre-cristiani della cultura popolare. Per gli ungheresi il titolo specifico della
Vergine è Beata Regina (Boldogasszony),
oppure Grande Signora (Magna Domina – Nagyasszony)
di cui abbiamo dati sin dall’XI secolo. La Leggenda del vescovo martire San
Gerardo riferisce, infatti, che gli ungheresi per rispetto non pronunciavano
mai il nome di Maria ma la chiamavano con lo stesso titolo onorifico utilizzato
per la regina.
Maria come Patrona degli Ungheresi è
stata originariamente venerata con la festa dell’Assunta, il 15 agosto, cui
sono legate anche numerose tradizioni popolari. Santo Stefano dedicò alla
Vergine Assunta la grande basilica collegiata che volle costruire nel centro
del Regno, ad Alba Regale (Székeshehérvár), dove venne sepolto lui e poi i suoi
successori fino alla metà del XVI secolo. I nuovi re d’Ungheria dovevano essere
incoronati in questa stessa basilica. Santo Stefano morì il 15 agosto (nel
1038), festa dell’Assunta. La sua Leggenda riferisce che prima di morire
consacrò il suo regno alla Madonna come regina dell’Ungheria.
La prima poesia di lingua ungherese
che conosciamo (fine XIII secolo) è proprio un inno alla Madonna, del genere
del Planctus Mariae (Ómagyar
Mária-siralom). Uno dei primi canti mariani ungheresi (Angyaloknak nagyságos asszonya – Grande regina degli angeli) parla
di Maria come „liberatrice dei morti, distruttrice dei turchi, consigliere dei
re, difensore degli ungheresi” (di András Vásárhelyi, 1508).
Durante il periodo travagliato e tragico delle guerre
turche, nei secoli XVI-XVII, si rafforzò l’idea di avere come unico rifugio la
Madonna, Patrona dell’Ungheria. Tale devozione non si limitò al sentimento
popolare ma trovò espressione anche in ambito statale. Le bandiere e le monete
portavano l’effigie della Madonna. La riconquista del Paese dal dominio turco,
per opera di una coalizione europea guidata dagli Asburgo, era segnata da un
filo “mariano”. Si ricorda come il B. Innocenzo XI, che si prodigò dal punto di
vista diplomatico e finanziario per questa causa, rilevò prima della
riconquista di Buda (1686) come il nome stesso della capitale ungherese fosse una
“profezia” mariana: “Beata Virgo Dabit Auxilium”.
L’imperatore Leopoldo I volle consacrare di nuovo il
Paese alla Madonna, nel 1693. Proprio in quel periodo ebbe origine il santuario
di Máriapócs nell’Ungheria occidentale. Ivi, nel 1696, l’icona della Madre di
Dio di una chiesetta greco cattolica cominciò a versare lacrime. Il segno fu
subito interpretato in connessione con le sorti del Paese e l’imperatore fece
portare l’icona a Vienna. La vittoria di Zenta (11 settembre 1697), decisiva
per la liberazione dell’Ungheria, arrivò dopo la solenne processione tenuta con
l’icona di Máriapócs su consiglio del B. Marco d’Aviano a Vienna.
L’inno “Beata Regina, nostra Madre, nostra antica patrona” (BoldogasszonyAnyánk… - inizio XVIII secolo), di origine benedettina (Arciabbazia di
Pannonhalma) riassume la tradizione ed il sentimento religioso ungherese
formatosi durante i secoli XVI-XVII: la Vergine Maria, regina e patrona degli
ungheresi viene supplicata affinché non si dimentichi dei suoi „orfani”. Tale
inno divenne popolarissimo e funse dal “inno nazionale” ante litteram.
Il più famoso inno a S. Stefano (“Ah hol vagy magyarok…” – metà del XVIII
secolo, rielaborato anche da Zoltán Kodály) parla dell’Ungheria come “giardino” della Madonna, curato da re
Stefano. Il quale giardino, un tempo fiorente ora è invece abbandonato. L’unica
speranza è che Maria, cui il Paese è stato affidato da S. Stefano, continui a
essere fedele regina degli ungheresi.
Durante il XVIII secolo rifiorì la devozione mariana
di stampo barocco in tutta l’Ungheria, chiamata con l’epiteto Regnum Marianum. La
Patrona d’Ungheria veniva sempre più spesso raffigurata come la Donna vestita
di sole, però con la Sacra Corona d’Ungheria sul capo.
Nel 1865 il sinodo diocesano di Strigonia (Esztergom) stabilì
una preghiera da recitarsi in onore della Magna Domina Hungarorum nella messa
delle feste mariane. Su richiesta della conferenza episcopale ungherese Leone
XIII, nel 1896 (Millennio dell’Ungheria) concesse una festa liturgica propria
alla Vergine Maria Magna Domina Hungarorum. Inizialmente celebrata la seconda
domenica di ottobre, San Pio X nel 1910 la fissò all’8 ottobre. Dopo il
Concilio Vaticano II ci fu il tentativo di farla confluire in quella del Nome
di Maria (12 settembre), ma il Card. László Lékai Primate d’Ungheria volle
conservarla come festa separata. In tale intento è stato confermato da San
Giovanni Paolo II il quale consacrò la Cappella Magna Domina Hungarorum nelle
Grotte Vaticane proprio l’8 ottobre del 1980.
Immagine della Patrona Hungariae, con la Corona di S. Stefano, sulla facciata di Palazzo Falconieri a Roma, realizzata dallo Studio del Mosaico Vaticano |
Nella terra ungherese, nella vostra terra, la Chiesa ha sperimentato questa
lotta; ne ha fatta l’esperienza nel corso
della storia, ad esempio, col pericolo dei Turchi ottomani, ma l’ha
sperimentata in modo particolare durante il nostro secolo. Come non ricordare
le passate e recenti persecuzioni! Attaccata dagli eserciti ottomani, la
società del “Regno Mariano” crollò: intere popolazioni vennero decimate, e
d’improvviso diventò difficile poter vivere secondo i dettami del Vangelo.
Nell’ultimo
quarantennio, poi, una ferrea organizzazione ha imposto alla Nazione una
pseudo-cultura atea, volendo farne una forma di vita. E a queste forze esterne,
scatenate contro la Donna e suo Figlio, si aggiungeva anche l’inclinazione al
male, il germe dell’inimicizia verso il regno di Dio, che corrode lo spirito
umano trascinando purtroppo anche i credenti verso il baratro dell’infedeltà e
del peccato. Così, la lotta di cui parla l’Apocalisse si sviluppa soprattutto
nel cuore dell’uomo: per questo è necessaria una sempre più radicale
conversione.
Ma eccoci ora,
dopo lunghi anni di sofferenza e di prove dinanzi a Colei che i vostri antenati
hanno chiamato “Magna Domina Hungarorum”. A Lei rivolgiamo, come
l’angelo a Nazaret, il nostro saluto: “Ti saluto, o Piena di grazia, il
Signore è con te” (Lc1, 28). “Benedetta tu fra le donne” (Lc1, 42).
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