venerdì 19 agosto 2016

25 anni fa il viaggio di Giovanni Paolo II in Ungheria


Moneta d'oro commemorativa
del viaggio apostolico in Ungheria
(Sándor Tóth, 1991)
Venticinque anni fa Giovanni Paolo II compiva il suo primo viaggio apostolico in Ungheria, visitando le diverse parti del Paese: Esztergom, Budapest, Pécs, Máriapócs, Szombathely. Il santo pontefice di origine polacca seppe apprezzare e valorizzare la peculiare eredità storica del cristianesimo ungherese, incoraggiando i fedeli all’inizio di una nuova era di libertà.

Tra i gesti emblematici della visita si ricordano, in particolare, l’omaggio ai pastori calvinisti perseguitati e la solenne messa di Santo Stefano in Piazza degli Eroi. Ma anche la battuta sulla conoscenza della lingua ungherese, da lui comparata alla „porta stretta” che porta al regno dei cieli…

 

Originariamente quella in Ungheria doveva essere il secondo viaggio papale in uno stato comunista. L’invito gli era giunto, infatti, già nel 1988, ad opera del penultimo governo comunista. Un invito che fu annunciato ai fedeli il 20 agosto di quell’anno, durante la festa del patroni, Santo Stefano re e che „fu interpretato come uno dei primi segni del nuovo clima di libertà, che andava annunciandosi”. Poi gli eventi del cambio di regime del 1989-1990 ne differirono la data.

 
Arrivato dalla GMG di Czestochowa, il 16 agosto il papa si recò prima di tutto nella sede primaziale di Esztergom, dove rese omaggio alla tomba del Cardinale József Mindszenty (le cui spoglie erano rientrate in patria da poco): „ha lasciato una luminosa testimonianza di fedeltà a Cristo e alla Chiesa e di amore alla patria. Il suo nome e il suo ricordo rimarranno sempre in benedizione”.


Il giorno seguente, nella città di Pécs pronunciò un’omelia mariana, incentrata sulla figura della Patrona del paese, la Magna Domina Hungarorum:

Immagine drammatica è quella della lotta delineata dall’Apocalisse. Lotta di dimensioni cosmiche che si incentra sulla Madre a causa del Figlio e si estende alla Chiesa che, quale Madre, dà alla luce i figli a somiglianza di Maria. Nella terra ungherese, nella vostra terra, la Chiesa ha sperimentato questa lotta; ne ha fatta l’esperienza nel corso della storia, ad esempio, col pericolo dei Turchi ottomani, ma l’ha sperimentata in modo particolare durante il nostro secolo. Come non ricordare le passate e recenti persecuzioni! Attaccata dagli eserciti ottomani, la società del “Regno Mariano” crollò: intere popolazioni vennero decimate, e d’improvviso diventò difficile poter vivere secondo i dettami del Vangelo. Nell’ultimo quarantennio, poi, una ferrea organizzazione ha imposto alla Nazione una pseudo-cultura atea, volendo farne una forma di vita. E a queste forze esterne, scatenate contro la Donna e suo Figlio, si aggiungeva anche l’inclinazione al male, il germe dell’inimicizia verso il regno di Dio, che corrode lo spirito umano trascinando purtroppo anche i credenti verso il baratro dell’infedeltà e del peccato. Così, la lotta di cui parla l’Apocalisse si sviluppa soprattutto nel cuore dell’uomo: per questo è necessaria una sempre più radicale conversione. Ma eccoci ora, dopo lunghi anni di sofferenza e di prove dinanzi a Colei che i vostri antenati hanno chiamato “Magna Domina Hungarorum”.”


A Budapest, il 17 agosto, Giovanni Paolo II incontrò i rappresentanti del mondo della cultura e della scienza e, presso la Nunziatura, il Corpo Diplomatico. Fece presente che bisognava comprendere le difficoltà specifiche dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale:

„L’Ungheria, come gli altri Paesi di questa regione, deve affrontare compiti numerosi e difficili per ritrovare tutto il proprio dinamismo e la sua prosperità.” – disse – „Occorre ricostruire l’economia perché sia in grado di rispondere ai bisogni vitali dei suoi abitanti. Il sistema educativo deve essere rinnovato e ricevere un adeguato sostegno. La cultura si deve nuovamente impossessare delle ricchezze della propria memoria storica e beneficiare allo stesso tempo dei disinteressati contributi provenienti da altre regioni.” E pose la domanda: „Possiamo, al di là di ogni retorica, affermare che l’Europa è veramente una famiglia che accomuna una grande varietà di culture e di tradizioni? Senza essersene mai veramente resa conto, questa famiglia di nazioni era priva di una parte vitale di sé, a causa dell’allontanamento dei popoli radicati al centro d’Europa, ai quali era impedito di partecipare liberamente a scambi di qualsiasi natura. A questo punto, i diversi Paesi del continente, che mostrano cicatrici ancora vive, sapranno ristabilire una vita comune, in cui le differenze siano accettate e i contrasti superati, grazie all’adesione ai valori fondamentali, patrimonio della medesima eredità?”

Sempre in questo contesto fece presente una questione di speciale importanza:

„Ho fatto più volte appello al rispetto dei diritti di tutte le nazioni, di tutte le minoranze: esse devono accettare la costituzione del Paese che le ospita, ma anche i governi devono riconoscere loro uguali diritti, compreso il diritto di parlare la loro lingua materna, di godere di una giusta autonomia e di conservare la loro particolare cultura. Gli ungheresi sono sensibili al destino dei loro fratelli che risiedono in molti Paesi vicini; si augurano giustamente di mantenere certe forme di legame con loro. Se le frontiere sono inviolabili, non bisogna forse, allo stesso tempo, affermare che gli stessi popoli sono inviolabili?”


Nel famoso santuario greco cattolico di Máriapócs, il 18 agosto, il papa celebrò secondo il rito bizantino e si rivolse in modo particolare alle varie nazionalità che accorsero dai Paesi vicini, accomunati dalla devozione alla Vergine di Máriapócs:

„Due anni or sono, nel Messaggio per l’annuale Giornata della pace, ho sottolineato il diritto delle minoranze ad esistere a preservare la propria cultura, ad usare la propria lingua e ad avere relazioni con i gruppi che hanno un’eredità culturale e storica comune, pur vivendo su territori di altri Stati (cf. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata della Pace, , 5ss). Voglia Iddio concedere ai figli di questa Terra ed a quelli dei paesi vicini la nobiltà d’animo necessaria per rispettare sempre questi fondamentali diritti, così che col contributo generoso di tutti sia possibile costruire attivamente una pace resa più ricca dall’apporto delle legittime differenze di ciascuno.”


Recitando ivi la consueta preghiera dell’Angelus Giovanni Paolo II approfittò per ricordare che, nel 1456, in occasione dell’eroica difesa di Nándorfehérvárs (odierna Belgrado) dai turchi, „Papa Callisto III dispose che i fedeli, al suono delle campane di mezzogiorno, implorassero la protezione divina con la recita di questa bella supplica mariana, la quale confortò efficacemente i cristiani in quelle difficili circostanze, piene di pericolo per la vita religiosa e civile.”


Corona in bronzo che ricalca quella lasciata da Giovanni Paolo II
a Debrecen sul monumento dei pastori calvinisti

(foto: szoborlap.hu)
Lo stesso giorno il papa si recò nella „Chiesa grande” protestante di Debrecen, città chiamata anche „la Roma dei calvinisti”. Durante l’incontro ecumenico ebbe a rilevare:

„Sono conscio del fatto che questo incontro non sarebbe stato possibile in altri tempi. Un Papa in visita in Ungheria non sarebbe venuto a Debrecen. I cittadini di Debrecen non avrebbero gradito la sua presenza. I cambiamenti che si sono verificati possono essere attribuiti a diversi fattori, che hanno un significato profondo per la vita cristiana e per la sua testimonianza. (…) una maggiore unità tra le Chiese e le comunità ecclesiali riveste ancora più importanza oggi, alla luce delle sfide moderne alla fede cristiana. I nostri avi su questo continente, anche dopo la Riforma, condividevano la convinzione, spesso data per scontata, che la società e la cultura europea avessero la loro origine e ispirazione nei valori religiosi: la fede nel Dio Trino e in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, la visione della vita sulla terra come un pellegrinaggio verso la vita eterna, l’innato e inalienabile valore della persona umana dal suo concepimento fino alla morte. Oggi la società tende ad ignorare e perfino a ripudiare gran parte di questo retaggio. (…) Come cristiani, il servizio migliore che possiamo dare in questo frangente è una testimonianza comune rinnovata dei valori cristiani che sono stati il fondamento dell’Europa e dell’Ungheria. Quei valori non furono il risultato di una intuizione fortuita o di un consenso arbitrario. Essi sono sorti dalla considerazione del mistero dell’uomo alla luce dell’inalienabile dignità che gli proviene dall’essere stato creato e ricreato ad immagine e somiglianza di Dio.”

 
La visita a Debrecen restò profondamente impressa nella memoria dei protestanti ungheresi per un gesto a sorpresa del papa. Egli, infatti, dopo l’incontro si recò al monumento dei pastori calvinisti „martiri” e vi depose una corona di omaggio. Si trattò di una quarantina di pastori calvinisti ungheresi che durante le lotte religiose del XVII secolo furono condannate alle galee (su navi napolitane) e riscattate da un ammiraglio olandese. La corona d’alloro del papa fu, in seguito, immortalata dai calvinisti di Debrecen con una copia in bronzo.

 
Si ebbe, infine, l’incontro con i rappresentanti della comunità ebraica ungherese, una delle più grandi in Europa. Al papa commemorò le loro sofferenze e rese omaggio alla loro vitalità:

Anche in questo Paese voi avete alle spalle una lunga storia di dedizione generosa e di intelligente impegno. Ed oggi, dopo il periodo oscuro in cui sembrò che gli ebrei dovessero essere completamente sterminati, voi siete nuovamente presenti e date un apporto significativo alla vita nazionale magiara. Mi rallegro della vostra attiva presenza che rivela la nuova vitalità del vostro popolo. Ma insieme ricordo tutti e singoli gli ebrei - donne e bimbi, vecchi e giovani - i quali, pur perdendo la vita, custodirono la loro fiducia nelle promesse del Signore. (…) Vorrei anche ricordare quanto eminenti uomini della Chiesa Cattolica, qui in Ungheria come altrove, hanno fatto per la difesa degli ebrei, nei limiti che le circostanze permettevano, impegnandosi con coraggio, come hanno fatto il Rappresentante Pontificio, Monsignor Angelo Rotta, e Monsignor Apor, Vescovo di Györ.”


Francobollo commemorativo del viaggio apostolico in Ungheria
(philatelia.hu)
Il 19 agosto fu la volta di Szombathely, l’antica città romana di Savaria, che diede i natali a San Martino. Giovanni Paolo si richiamò a tale eredità:

Voi avete ricevuto il dono della peculiare tradizione culturale che ha caratterizzato l’antica Sabaria: gli imperatori, succedendosi nel corso del tempo, ne hanno tramandato intatto il contenuto. La cultura antica apriva lo spirito alle profondità del sapere ed insegnava a riconoscere ed apprezzare quei valori che trascendono ogni interesse materiale. Si tratta di un patrimonio spirituale che, grazie a Dio, ha potuto svilupparsi, resistendo alla dominazione turca e all’infuriare delle guerre civili, come in tante altre fiorenti regioni della vostra Patria. Davanti al palazzo vescovile della vostra Città è possibile ammirare la statua di Daniele Berzsenyi, uno dei vostri grandi poeti: nella sua opera palpita la maturità estetica raggiunta dall’antica cultura che sapeva apprezzare il bello e l’armonia dell’essere, ma invitava a trascendere l’immediata realtà per “intravedere bramosamente” Dio (…) Voi vi ispirate ad un generoso vostro conterraneo, ad un fedele discepolo di Cristo: San Martino, patrono della vostra Diocesi. Prendete come modello colui che, secondo la tradizione, tagliò in due parti il mantello dandone una metà ad un mendicante ignudo. (…) L’esempio di San Martino non vi incoraggia forse a collaborare e ad essere sempre disponibili, anche quando ciò comporta fatica ed esige umiltà e rinuncia a propri, forse anche legittimi, punti di vista? Ma il suo esempio si collega a quello dei Santi che nell’epoca posteriore hanno reso illustre la vostra storia, ed a quello altresì di tanti cristiani che, in terra ungherese, hanno fatto del Vangelo la norma della loro vita. Vorrei qui ricordare le nobilissime figure del Servo di Dio, Conte Batthyany-Strattmann, di cui è in corso la causa di beatificazione, e di Mons. Apor Vilmos, Vescovo della vicina diocesi di Györ, che nel 1945, durante l’occupazione militare della città, sacrificò la propria vita per difendere il gregge a lui affidato: “Il buon Pastore offre la vita per le pecore”.”

 
La sera del 19 agosto il papa incontrò i giovani ungheresi che riempirono lo Stadio Popolare di Budapest:

„Nei vari quadri della rappresentazione, che abbiamo ammirato all’inizio di questo incontro, i vostri giovani colleghi ci hanno fatto rivivere alcuni momenti della storia ungherese, attraverso le vicende dei suoi protagonisti. Tra loro c’erano dei santi. Giovani santi, come sant’Imre, santa Margherita, sant’Elisabetta. Nei periodi bui del passato, la loro vita ha irradiato la luce del Vangelo sul cammino dei vostri antenati. Carissimi, spetta a voi, in questo momento in cui la vostra Patria, superato il regime d’oppressione, sta costruendo nella libertà un futuro più sicuro e felice, emulare gli esempi di quelle grandi figure della vostra storia. Nell’adesione generosa a Cristo e al suo Vangelo voi troverete ispirazione e forza per essere i protagonisti del vostro domani. (…) Siate voi “puri, eroici, santi” (come molto spesso avete cantato nelle chiese), e fate sì che Dio possa salvare la vostra Patria, grazie al vostro sforzo generoso.”

Al termine papa Wojtyla aggiunse le seguenti parole:

„Spesso ho incontri con i giovani; essi instaurano un dialogo, dicono qualche cosa al Papa e il Papa risponde o dà interpretazioni di quello che ha capito. Ecco che cosa ho capito della vostra rappresentazione artistica. Nel secolo XIII la vostra patria come anche la mia hanno subìto una distruzione profonda a causa dell’invasione dei tartari. Santa Margherita, figlia del re, ha ricevuto da Dio un carisma speciale per diventare lievito per la ricostruzione spirituale del suo popolo. E qui dobbiamo capire bene l’analogia con i nostri tempi. I paesi come la vostra patria sono passati attraverso un distruzione spirituale, morale, e adesso ci vuole un lievito per la ricostruzione spirituale della società. I giovani vogliono essere questo lievito, implorano da Dio questo carisma di essere lievito della ricostruzione spirituale del popolo ungherese. Questi applausi sembrano dimostrare che ho capito bene. E così voi avete espresso qui il vostro messaggio, per voi stessi. Io non posso che augurarvi che questo messaggio si faccia realtà nella vostra vita e nella vita della vostra comunità, della vostra patria, della vostra nazione ungherese.”


Dopo aver incontrato i seminaristi, gli anziani e gli ammalati, nonché i membri della conferenza episcopale, Giovanni Paolo II celebrò la festa di Santo Stefano d’Ungheria sulla maestosa Piazza degli Eroi di Budapest:

„Il re Santo Stefano ha costruito questa casa per i vostri antenati mille anni fa e, in loro, l’ha costruita per tutte le generazioni degli Ungheresi che, da allora, si sono succedute sulla vostra terra. Esse vivono e continuano a costruire la stessa casa, le cui fondamenta sono state poste da Santo Stefano. (…) Oggi il Vescovo di Roma, successore di san Pietro, saluta tutti i figli e le figlie della vostra Nazione; saluta gli Ungheresi che vivono nel Paese e fuori delle sue frontiere. Tutti coloro che spiritualmente sono legati alla comune eredità della corona di Santo Stefano. (…)

Il vostro santo re, cari figli e figlie della Nazione ungherese, vi ha lasciato come eredità non soltanto la corona reale, ricevuta dal papa Silvestro II. Vi ha lasciato il testamento spirituale, un’eredità di valori fondamentali e indistruttibili: la vera casa costruita sulla roccia. Quest’edificio fondato sulla roccia non è soltanto una dottrina o un insieme di leggi e di consigli o un’umana istituzione: è soprattutto una salda testimonianza di vita cristiana. Santo Stefano è un cristiano che crede nella verità rivelata, fissa il suo cuore su Gesù, vero Dio e vero uomo, e ne segue la parola senza tentennamenti. (…)

Santo Stefano riconobbe che la vera via per sopravvivere e formare, dalle diverse tribù, un’unica Nazione era la conversione al Cristianesimo. Solo i valori cristiani, infatti, possono offrire una solida base per una cultura veramente umana. Al presente, l’Ungheria è diventata una società pluralistica, nella quale cittadini e gruppi aderiscono a differenti sistemi di valori. Ma la storia insegna che fondamentali valori cristiani sono stati integrati nell’umanesimo moderno: la dignità della persona, la solidarietà, la libertà, la pace. (…)

Santo Stefano integrò l’Ungheria nella comunità delle Nazioni europee, accettando le comuni forme e tradizioni cristiane del continente ed accogliendo nel paese i forestieri e specialmente i pellegrini. Fu così che l’originaria Ungheria divenne ben presto la Nazione a tutti nota per la sua ospitalità e cortesia. Voi vivete al centro dell’Europa, circondati da popoli e nazionalità diverse. La vostra casa potrà essere felice e sicura solo se vi impegnerete nella costruzione della “comune casa europea”, in un leale e generoso atteggiamento di apertura, di solidarietà e di cooperazione.

L’altra caratteristica di Santo Stefano, come pure di molti altri santi ungheresi, fu la straordinaria sollecitudine per i poveri. Oltre a quello del re, basti qui ricordare il nome di Santa Elisabetta, perché l’uno e l’altra si distinsero in questo nobilissimo servizio. Anche ai giorni nostri la vostra Nazione, non diversamente da altre dell’Europa centrale ed orientale, conosce questo tipo di bisogno, mentre si sta misurando con le difficoltà derivanti dal cambiamento delle strutture dell’economia. In questo periodo di transizione è infatti cresciuto il numero dei poveri: sono sempre più numerosi i disoccupati e i senzatetto, molte persone sono costrette a vivere in condizioni di grave penuria, i pensionati vedono i loro introiti progressivamente ridotti dall’inflazione, le famiglie numerose stentano ad avere il necessario per vivere. Mentre alcuni gruppi sociali, impegnandosi per un futuro migliore ed avviando imprese private, diventano sempre più ricchi, altri rischiano di cadere in una crescente miseria. Carissimi fratelli e sorelle, sulle orme di Santo Stefano e di Santa Elisabetta, sappiate vedere Cristo in ogni povero e aiutarlo per quanto vi è possibile. Non dimenticate: i poveri sono il tesoro della Chiesa, sono la nascosta presenza di Cristo stesso in mezzo a voi!”

E, infine, volle congedarsi con una frase che dal 2013 si legge sullo stesso luogo, scolpita nella pietra:

„Voi, cari fratelli Ungheresi, siate consapevoli della grande fortuna che rappresenta per il vostro avvenire la libertà che avete conquistato in modo irreversibile. Sappiate apprezzare e vivere la libertà!”
Il Card. Erdő benedice la lapide che segna il luogo della messa
di Giovanni Paolo II sulla Piazza degli Eroi di Budapest
(foto:
uj.katolikus.hu)



 Il ricordo del primo viaggio di Papa Giovanni Paolo II è tutt’ora vivo nella memoria degli ungheresi che gli dedicarono numerose vie, piazze e monumenti. E non si dimenticano della „profezia”, che pronunciò scherzosamente, scusandosi per la sua „cattiva pronuncia ungherese”:

„Voglio assicurarvi che ho fatto ciò che mi era possibile, ma si vede come la vostra lingua - che è così bella ma anche così esigente - è veramente una porta stretta, come la porta attraverso cui dobbiamo entrare nel regno dei cieli. Ma questo può essere anche una buona profezia per gli ungheresi perché tutti loro parlano questa lingua e così tutti trovano questa porta stretta che guida ai cieli. Questa è una buona profezia per voi. Io certamente vi auguro di entrare per questa porta nel regno dei cieli.”

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