martedì 1 maggio 2018

Mons. Gallagher ai V4: “sono saldi i vincoli che legano le vostre nobili Nazioni e la Sede Apostolica nel segno di Sant’Adalberto”


“Desidero esprimere sentimenti di gratitudine da parte della Santa Sede, e mia personale, agli Ecc.mi Ambasciatori dei Paesi del Gruppo di Visegrád per la lodevole iniziativa, che sta ormai diventando una bella consuetudine, di commemorare congiuntamente la memoria di Sant’Adalberto” – ha esordito S.E. Monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati nell’omelia della S. Messa che egli stesso ha presieduto il 27 aprile 2018 nella Cappella Ungherese delle Grotte Vaticane.
Messa S. Adalberto delle Ambasciate V4
La celebrazione di quest’anno è stata promossa dall’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede, nel segno della presidenza di turno ungherese del Gruppo V4. L’Ambasciatore d’Ungheria Eduard Habsburg-Lothringen ha ringraziato prima l’Arcivescovo Gallagher per aver accettato di presiedere la liturgia, nonché i colleghi Ambasciatori Janusz Kotanski di Polonia e Peter Sopko della Slovacchia, nonché l’Incaricato d’Affari della Repubblica Ceca Zuzana Válková, come pure i sacerdoti concelebranti dei quattro paesi e della Segreteria di Stato. Presente l’Ambasciatore dell’UE presso la Santa Sede, Jan Tombinski e altri membri del Corpo Diplomatico, nonché il coro dei seminaristi ungheresi e slovacchi del Collegio Germanico-Ungarico. L’Ambasciatore Habsburg ha sottolineato la rilevanza del luogo stesso: “Le pareti di questa Cappella, dedicata alla Magna Domina Hungarorum, sono ornate dalle immagini di molti santi, con Sant’Adalberto al primo posto, che costituiscono una fitta rete di relazioni tra le nazioni dell’Europa Centrale ed Orientale”.

Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata da Mons. Paul Richard Gallagher.

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Eccellenze,

Signori Ambasciatori e Membri del Corpo Diplomatico,

Cari fedeli,

 


l’occasione che stamani ci vede qui riuniti è la celebrazione di Sant’Adalberto, grande Santo e Pastore vissuto verso la fine del primo millennio, tanto conosciuto e amato dai popoli del Centro-Europa, che lo venerano con molta devozione.

A questo proposito, desidero esprimere sentimenti di gratitudine da parte della Santa Sede, e mia personale, agli Ecc.mi Ambasciatori dei Paesi del Gruppo di Visegrád per la lodevole iniziativa, che sta ormai diventando una bella consuetudine, di commemorare congiuntamente la memoria di Sant’Adalberto. In modo particolare, il mio ringraziamento va a S.E. il Sig. Eduard Habsburg-Lothringen, Ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, e Presidente di turno del menzionato Gruppo, per aver organizzato questa celebrazione e per l’amabilità che ha avuto nell’invitarmi a presiederla.

 

Cari amici,


sono saldi i vincoli che legano le vostre nobili Nazioni e la Sede Apostolica nel segno di Sant’Adalberto: egli fu infatti Vescovo di Praga, monaco a Roma, evangelizzatore dell’Ungheria e martire in Polonia. Ne conoscete le vicende travagliate: basta uno sguardo alla sua biografia per rendersi conto delle difficoltà che dovette affrontare nel ministero, tanto che per due volte si trovò costretto persino ad abbandonare la sua sede episcopale. Ma soprattutto notiamo come egli contribuì, con coraggio e zelo apostolico, all’evangelizzazione dei popoli dell’Europa centrale, a cui appartenete.

Le letture che abbiamo ascoltato inquadrano bene la figura di questo santo Martire che, come disse San Giovanni Paolo II, “sia con la sua vita che con la sua morte pose le basi dell’identità e dell’unità dell’Europa” (Omelia per il millenario del martirio di Sant’Adalberto, Gniezno, Polonia, 3 giugno 1997).

A imitazione di Cristo è stato buon Pastore, guida sicura che ha saputo condurre il suo gregge. Come il Buon Pastore, che conosce personalmente le sue pecore e che offre la sua vita per loro, anche Sant’Adalberto si è fatto prossimo agli altri, non risparmiando energie, affrontando umiliazioni e perfino la persecuzione. Ha dato alla fede una testimonianza aperta e coraggiosa fino all’atto supremo del martirio.

Se in tutto ciò Sant’Adalberto è stato un testimone che Dio ha donato ai suoi contemporanei, anche oggi la sua figura costituisce per il nostro tempo un modello di santità. I santi sono, difatti, tra noi un riflesso della presenza di Dio. Sono, in una parola, luce, luce che orienta il nostro cammino e precede i nostri passi. Lo stesso Gesù, nella prima metafora che i Vangeli riportano, chiama i suoi discepoli “sale della terra e luce del mondo” (Mt 5,13). E ci invita a far risplendere la nostra luce “davanti agli uomini, affinché vedano le nostre buone opere e rendano gloria al Padre che è nei cieli” (v. 16). Queste parole ci indicano che ogni cristiano ha una missione da compiere, quella di “essere luce che illumina”. Ora, è evidente che la luce illumina ciò che in qualche modo è oscuro. Fuor di metafora, il cristiano non si ritrae dal mondo, non teme di inoltrarsi nelle oscurità che presenta, ma vi si addentra, con il desiderio di non portarvi sé stessi, ma il Signore, perché Egli anzitutto è la luce del mondo (cfr Gv 8,12). Il cristiano sa che la sua missione è fare come la luce: non giudicare se il mondo o l’epoca in cui vive è illuminata o meno, ma essere luce per irradiare un riflesso della vera luce, che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9).

Comprendiamo meglio questa luce con l’altra indissociabile definizione che Gesù appropria ai suoi: “sale della terra”. Il nostro compito, in quanto sale della terra, è di dare sapore alla realtà quando diventa insipida. Ma è forse ancora più interessante riflettere su come farlo: al modo del sale. Come il sale, che conserva gli alimenti e dà sapore alle pietanze senza rendersi visibile, anzi semplicemente sciogliendosi in esse, così i cristiani nel mondo. Siamo dunque chiamati a essere testimoni coraggiosi e credibili non attraverso parole e proclami, ma con la coerenza della vita.

La luce della fede, che hanno saputo diffondere i santi, non può essere trattenuta, non è nostra proprietà, siamo chiamati a farla risplendere nel mondo. Ciò implica, in definitiva, apertura, donazione, accoglienza e solidarietà nei confronti del prossimo, e perfino sacrificio della propria vita.

Papa Francesco, nella recente Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, ci ricorda che “Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova” (n. 14). E nella Chiesa possiamo trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno “per crescere verso la santità”. Infatti, “il Signore l’ha colmata di doni con la Parola, i Sacramenti, i santuari, la vita delle comunità, la testimonianza dei santi” (n. 15).

Ci domandiamo dunque, ritornando al punto da cui siamo partiti, che cosa ci dica ancora la figura del Santo Vescovo boemo. San Giovanni Paolo II, nel celebrarne il millennio del martirio, ricordò che “Sant’Adalberto è un santo per i cristiani di oggi: li invita a non arroccarsi trattenendo per sé il tesoro delle verità possedute, in un atteggiamento di sterile difesa davanti al mondo. Al contrario, chiede loro di aprirsi alla società attuale, nella ricerca di tutto ciò che di buono e valido essa possiede, per elevarlo e, se è necessario, purificarlo alla luce del Vangelo” (Omelia in occasione del Millenario del martirio di Sant’Adalberto, Praga, 27 aprile 1997).

Ecco come essere allora fedeli testimoni, pastori veraci, guide sicure per gli altri, luce e sale: non contrapponendosi al mondo, non cedendo alla tentazione di chiudersi di fronte a quanto in esso non rispecchia i nostri valori, ma offrendo l’esempio della carità di Gesù: il Buon Pastore, bello, vero, autentico, che conduce verso la libertà e dona la vita per le pecore, sale che si scoglie, luce che rischiara il cuore.

Ecco allora l’insegnamento di Sant’Adalberto ancora valido per le nostre società, spesso incerte e frammentate, e per la nostra Europa del terzo millennio, che sembra talvolta incamminata verso sentieri distanti da quei valori umani e cristiani e dalle motivazioni che ispirarono i Padri Fondatori a costruire e sognare un’Europa unita e concorde.

Anche oggi, ci ricorda Papa Francesco, “Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del Continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa” (Discorso per il conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016).

Come cittadini di questo Continente e come discepoli di Cristo, siamo pertanto chiamati a valorizzare l’identità cristiana che i santi ci testimoniano. Essa richiama a scoprire le proprie radici, ad amarle e a valorizzarle senza assolutizzarle, perché quella cristiana è sempre un’identità relazionale, che non si risolve mai in se stessa, ma in Dio, e si fortifica camminando verso di Lui con il prossimo, chiunque sia, che nell’oggi ci è dato e con il passo della carità.

Affidiamoci, dunque, alle preghiere e all’intercessione di Sant’Adalberto affinché la nostra vita sia un riflesso della presenza di Gesù Buon Pastore fra gli uomini. Possa Egli concedere, anche nei momenti oscuri che oggi purtroppo non mancano, pace e concordia al mondo intero e ai vostri amati Paesi. E così sia.


L'Amb. Tombinski, l'Amb. Kotanski, la Cons. Válková, l'Amb. Sopko e l'Amb. Habsburg presenti alla celebrazione

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