“Desidero esprimere sentimenti di gratitudine da parte della Santa Sede, e
mia personale, agli Ecc.mi Ambasciatori dei Paesi del Gruppo di Visegrád per la lodevole iniziativa, che sta ormai diventando una bella
consuetudine, di commemorare congiuntamente la memoria di Sant’Adalberto” – ha esordito
S.E. Monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati
nell’omelia della S. Messa che egli stesso ha presieduto il 27 aprile 2018 nella Cappella Ungherese delle Grotte Vaticane.
Messa S. Adalberto delle Ambasciate V4 |
La celebrazione di quest’anno
è stata promossa dall’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede, nel segno
della presidenza di turno ungherese del Gruppo V4. L’Ambasciatore d’Ungheria
Eduard Habsburg-Lothringen ha ringraziato prima l’Arcivescovo Gallagher per
aver accettato di presiedere la liturgia, nonché i colleghi Ambasciatori Janusz
Kotanski di Polonia e Peter Sopko della Slovacchia, nonché l’Incaricato d’Affari
della Repubblica Ceca Zuzana Válková, come pure i sacerdoti concelebranti dei
quattro paesi e della Segreteria di Stato. Presente l’Ambasciatore dell’UE presso la Santa Sede, Jan Tombinski
e altri membri del Corpo Diplomatico, nonché il coro dei seminaristi ungheresi
e slovacchi del Collegio Germanico-Ungarico. L’Ambasciatore Habsburg ha sottolineato
la rilevanza del luogo stesso: “Le pareti di questa Cappella, dedicata alla
Magna Domina Hungarorum, sono ornate dalle immagini di molti santi, con Sant’Adalberto
al primo posto, che costituiscono una fitta rete di relazioni tra le nazioni
dell’Europa Centrale ed Orientale”.
Pubblichiamo il testo
dell’omelia pronunciata da Mons. Paul Richard Gallagher.
* * *
Eccellenze,
Signori
Ambasciatori e Membri del Corpo Diplomatico,
Cari
fedeli,
l’occasione che stamani ci vede qui
riuniti è la celebrazione di Sant’Adalberto, grande Santo e Pastore vissuto
verso la fine del primo millennio, tanto conosciuto e amato dai popoli del
Centro-Europa, che lo venerano con molta devozione.
A questo proposito, desidero
esprimere sentimenti di gratitudine da parte della Santa Sede, e mia personale,
agli Ecc.mi Ambasciatori dei Paesi del Gruppo di Visegrád per la lodevole iniziativa, che sta ormai
diventando una bella consuetudine, di commemorare congiuntamente la memoria di
Sant’Adalberto. In modo particolare, il mio ringraziamento va a S.E. il Sig.
Eduard Habsburg-Lothringen, Ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, e
Presidente di turno del menzionato Gruppo, per aver organizzato questa
celebrazione e per l’amabilità che ha avuto nell’invitarmi a presiederla.
Cari amici,
sono saldi i vincoli che legano le vostre nobili Nazioni e
la Sede Apostolica nel segno di Sant’Adalberto: egli fu infatti Vescovo di
Praga, monaco a Roma, evangelizzatore dell’Ungheria e martire in Polonia. Ne
conoscete le vicende travagliate: basta uno sguardo alla sua biografia per
rendersi conto delle difficoltà che dovette affrontare nel ministero, tanto che
per due volte si trovò costretto persino ad abbandonare la sua sede episcopale.
Ma soprattutto notiamo come egli contribuì, con coraggio e zelo apostolico,
all’evangelizzazione dei popoli dell’Europa centrale, a cui appartenete.
Le letture che abbiamo ascoltato inquadrano bene la
figura di questo santo Martire che, come disse San Giovanni Paolo II, “sia con
la sua vita che con la sua morte pose le basi dell’identità e dell’unità
dell’Europa” (Omelia per il millenario
del martirio di Sant’Adalberto, Gniezno, Polonia, 3 giugno 1997).
A imitazione di Cristo è stato buon Pastore, guida sicura
che ha saputo condurre il suo gregge. Come il Buon Pastore, che conosce
personalmente le sue pecore e che offre la sua vita per loro, anche Sant’Adalberto
si è fatto prossimo agli altri, non risparmiando energie, affrontando
umiliazioni e perfino la persecuzione. Ha dato alla fede una testimonianza aperta
e coraggiosa fino all’atto supremo del martirio.
Se in tutto ciò Sant’Adalberto è stato un testimone che
Dio ha donato ai suoi contemporanei, anche oggi la sua figura costituisce per
il nostro tempo un modello di santità. I santi sono, difatti, tra noi un
riflesso della presenza di Dio. Sono, in una parola, luce, luce che orienta il
nostro cammino e precede i nostri passi. Lo stesso Gesù, nella prima metafora
che i Vangeli riportano, chiama i suoi discepoli “sale della terra e luce del
mondo” (Mt 5,13). E ci invita a far
risplendere la nostra luce “davanti agli uomini, affinché vedano le nostre
buone opere e rendano gloria al Padre che è nei cieli” (v. 16). Queste parole
ci indicano che ogni cristiano ha una missione da compiere, quella di “essere
luce che illumina”. Ora, è evidente che la luce illumina ciò che in qualche
modo è oscuro. Fuor di metafora, il cristiano non si ritrae dal mondo, non teme
di inoltrarsi nelle oscurità che presenta, ma vi si addentra, con il desiderio
di non portarvi sé stessi, ma il Signore, perché Egli anzitutto è la luce del
mondo (cfr Gv 8,12). Il cristiano sa
che la sua missione è fare come la luce: non giudicare se il mondo o l’epoca in
cui vive è illuminata o meno, ma essere luce per irradiare un riflesso della
vera luce, che illumina ogni uomo (cfr Gv
1,9).
Comprendiamo meglio questa luce con l’altra
indissociabile definizione che Gesù appropria ai suoi: “sale della terra”. Il nostro
compito, in quanto sale della terra, è di dare sapore alla realtà quando
diventa insipida. Ma è forse ancora più interessante riflettere su come farlo:
al modo del sale. Come il sale, che conserva gli alimenti e dà sapore alle
pietanze senza rendersi visibile, anzi semplicemente sciogliendosi in esse,
così i cristiani nel mondo. Siamo dunque chiamati a essere testimoni coraggiosi
e credibili non attraverso parole e proclami, ma con la coerenza della vita.
La luce della
fede, che hanno saputo diffondere i santi, non può essere trattenuta, non è
nostra proprietà, siamo chiamati a farla risplendere nel mondo. Ciò implica, in
definitiva, apertura, donazione, accoglienza e solidarietà nei confronti del
prossimo, e perfino sacrificio della propria vita.
Papa Francesco,
nella recente Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, sulla chiamata alla santità nel mondo
contemporaneo, ci ricorda che “Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno
la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova”
(n. 14). E nella Chiesa possiamo trovare tutto ciò di cui abbiamo bisogno “per
crescere verso la santità”. Infatti, “il Signore l’ha colmata di doni con la
Parola, i Sacramenti, i santuari, la vita delle comunità, la testimonianza dei
santi” (n. 15).
Ci domandiamo dunque, ritornando al punto da cui siamo
partiti, che cosa ci dica ancora la figura del Santo Vescovo boemo. San
Giovanni Paolo II, nel celebrarne il millennio del martirio, ricordò che “Sant’Adalberto
è un santo per i cristiani di oggi: li invita a non arroccarsi trattenendo per
sé il tesoro delle verità possedute, in un atteggiamento di sterile difesa
davanti al mondo. Al contrario, chiede loro di aprirsi alla società attuale,
nella ricerca di tutto ciò che di buono e valido essa possiede, per elevarlo e,
se è necessario, purificarlo alla luce del Vangelo” (Omelia in occasione del Millenario del martirio di Sant’Adalberto,
Praga, 27 aprile 1997).
Ecco come essere allora fedeli testimoni, pastori veraci,
guide sicure per gli altri, luce e sale: non contrapponendosi al mondo, non
cedendo alla tentazione di chiudersi di fronte a quanto in esso non rispecchia
i nostri valori, ma offrendo l’esempio della carità di Gesù: il Buon Pastore,
bello, vero, autentico, che conduce verso la libertà e dona la vita per le
pecore, sale che si scoglie, luce che rischiara il cuore.
Ecco allora l’insegnamento di Sant’Adalberto ancora
valido per le nostre società, spesso incerte e frammentate, e per la nostra
Europa del terzo millennio, che sembra talvolta incamminata verso sentieri distanti
da quei valori umani e cristiani e dalle motivazioni che ispirarono i Padri
Fondatori a costruire e sognare un’Europa unita e concorde.
Anche oggi, ci ricorda Papa Francesco, “Dio desidera
abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i
grandi evangelizzatori del Continente, siano toccati da Lui e vivano il
Vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare
l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa” (Discorso per il conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016).
Come cittadini di questo Continente e come discepoli di
Cristo, siamo pertanto chiamati a valorizzare l’identità cristiana che i santi
ci testimoniano. Essa richiama a scoprire le proprie radici, ad amarle e a
valorizzarle senza assolutizzarle, perché quella cristiana è sempre un’identità
relazionale, che non si risolve mai in se stessa, ma in Dio, e si fortifica
camminando verso di Lui con il prossimo, chiunque sia, che nell’oggi ci è dato
e con il passo della carità.
Affidiamoci, dunque, alle preghiere e all’intercessione
di Sant’Adalberto affinché la nostra vita sia un riflesso della presenza di Gesù
Buon Pastore fra gli uomini. Possa Egli concedere, anche nei momenti oscuri che
oggi purtroppo non mancano, pace e concordia al mondo intero e ai vostri amati
Paesi. E così sia.
L'Amb. Tombinski, l'Amb. Kotanski, la Cons. Válková, l'Amb. Sopko e l'Amb. Habsburg presenti alla celebrazione |
Nessun commento:
Posta un commento