Pubblichiamo la sintesi della prima parte della
presentazione “Cattolici Ungheresi: 1000 anni in Transilvania – 100 anni in
Romania”, tenuta l’8 maggio scorso presso l’Accademia d’Ungheria a Roma dal Prof.
Zsolt Tamási, Direttore del Liceo Cattolico “II. Rákóczi Ferenc” di Targu
Mures/Marosvásárhely sulla storia dei cattolici ungheresi della Transilvania. Una
storia che presenta non solo tanti momenti di sofferenza e di delusione, ma anche
dei tratti peculiari, come il ruolo dei laici nella pastorale e nella gestione
dei beni della Chiesa, a partire dal XVII secolo.
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La
Transilvania è una regione che da cento anni appartiene alla Romania, e dove i
cattolici ungheresi sono stati plasmati da ben mille di storia, quando hanno
dovuto imparare a resistere e a ricominciare.
La diocesi cattolica di
rito latino della Transilvania fu fondata nel 1009 da Santo Stefano re d’Ungheria.
Facendo parte del Regno d’Ungheria, essa fu per secoli l’ultima diocesi latina verso
oriente. Ha dovuto spesso subire le incursioni di diversi popoli nomadi
orientali, poi quelle dei turchi che ne hanno decimato la popolazione. Guardiani
di questi confini orientali dell’Ungheria e, insieme, della Chiesa Cattolica,
furono i székely, o siculi, una popolazione di guerrieri ungheresi che tuttora
vive compatta in quelle regioni, oggi come una isola ungherese e cattolica al
centro della Romania ortodossa.
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Le diocesi del Regno d'Ungheria nel XI secolo |
Lo sviluppo medievale venne
interrotto prima dall’invasione mongola (i tartari), nel 1241, poi, nel XVI secolo,
dall’espansionismo turco che soggiogò la parte centrale del Regno d’Ungheria. La
Transilvania, divenuta Principato autonomo, dovette trovare un equilibrio
precario tra l’Impero Asburgico e l’Impero Ottomano.
Nel periodo della
Riforma, quando praticamente tutta la regione divenne protestante, solo i
székely (siculi) si mantennero fedeli al cattolicesimo, grazie alla protezione
della Vergine di Csíksomlyó. I székely, infatti, si difesero a mano armata
contro i tentativi di conversione forzata: proprio questo fatto è all’origine
del pellegrinaggio e del “Perdono di Pentecoste” presso il Santuario di Csíksomlyó.
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La Transilvania - dettaglio di un affresco del XVI secolo nel Palazzo Apostolico in Vaticano |
Essendo il Principato di
Transilvania a dominanza protestante, ai cattolici fu impedito di avere un
vescovo proprio e la Diocesi della Transilvania venne amministrata da vicari
episcopali. Gli ordini religiosi espulsi, i loro conventi distrutti nelle
guerre, solo alcuni dei conventi francescani rimasero operativi, tra i quali
quello di Csíksomlyó. La carenza di sacerdoti portò alla diffusione di una
istituzione particolare, i cd. “licenziati”, ossia degli uomini laici che con
la licenza del vescovo svolgevano tutte le funzioni pastorali che non
richiedevano l’ordine sacro.
In assenza dell’ordinario
tanti beni della diocesi vennero usati dallo stato. A tutela dei diritti e dei
beni della Chiesa ci pensarono allora le famiglie aristocratiche rimaste
cattoliche. All’inizio del XVII secolo fondarono il cd. “Status Romano-Catholicus
Transylvaniensis”, un peculiare organo di autogoverno che riuniva dei
rappresentanti ecclesiali e laici, cui spettava di amministrare i beni
ecclesiali.
Dopo la riconquista e l’avvento
della dominazione asburgica anche il vescovo poté far ritorno in Transilvania.
Il cattolicesimo, con gli ordini religiosi e le istituzioni caritative e
scolastiche, poté finalmente riorganizzarsi. Nel XVIII secolo, volendo fuggire
alle pressioni centralizzatrici degli Asburgo, che ne tolsero gran parte dell’antica
autonomia, tanti székely emigrarono nella vicina Moldavia, dando vita ad una folta
comunità di csángó di religione romano cattolica e di lingua ungherese.
Lo smembramento dell’Ungheria,
alla fine della Prima Guerra Mondiale, vide la Transilvania e diverse contee
dell’Ungheria orientale, assegnate alla Romania. Quest’ultima avviò una
politica di centralizzazione, a discapito delle differenze regionali esistenti,
limitando le possibilità delle minoranze nazionali non ortodosse.