giovedì 30 maggio 2019

Pastore straordinario in una terra difficile – Áron Márton vescovo di Transilvania


Per capire meglio la Chiesa che è in Transilvania, quella di rito latino e di lingua ungherese, non si può prescindere dalla figura del Servo di Dio Áron Márton. Chiamato anche oggi, a quarant’anni dalla morte “il Vescovo”, egli è stato pastore intrepido della comunità cattolica di quelle terre nell’epoca difficilissima delle dittature atee (1938-1980). Un pastore “dall’odore delle pecore” che, nella lontana Transilvania, anticipò di trent’anni certe linee pastorali del Concilio Vaticano II, comprendendo l’importanza della nuova evangelizzazione. Conservò la fedeltà alla Santa Sede e la disciplina nel suo clero, suscitò vocazioni sacerdotali e, quando era il momento, fece di tutto per difendere i perseguitati: sia gli ebrei che i greco cattolici.


La sua biografia, pubblicata un paio di anni fa dalla Editrice Velar in italiano, inglese, tedesco, romeno e ungherese, offre una buona sintesi della vita e del pensiero di questo figlio della Terra dei Siculi (in ungherese Székelyföld), definito da San Giovanni Paolo II come “integerrimo servo del Signore”.


Nell’introduzione al volume l’autore, László Virt offre subito una visione del significato ecclesiale ed umano di Áron Márton: “Il volto più autentico della storia della Chiesa è sempre rappresentato dall’opzione preferenziale per i piccoli, i diseredati e gli oppressi. Lo status di minoranza non è, perciò, estraneo alla Chiesa. Essa, infatti, nella sua identità più genuina ha sempre coscientemente rifiutato ogni forma di dominio, affermando che il “potere” non consiste nella forza (spesso anche fisica), ma piuttosto nella grandezza spirituale e morale (cf. 2Cor 12,10 e 13,9). Se cerchiamo, nei territori di lingua ungherese, una figura che incarni nella propria vita questa reale autorità della Chiesa, è difficile non pensare al Vescovo romano cattolico della Transilvania Áron Márton. Egli riassumeva in sé un triplice stato di minoranza. Come ungherese in Romania, faceva parte di una minoranza etnica. In quanto cattolico, rappresentava una minoranza religiosa laddove la confessione di Stato era la Chiesa ortodossa. Come credente, rispecchiava una concezione del mondo minoritaria nel periodo comunista, in quanto difese sempre strenuamente l’autonomia della comunità ecclesiale a lui affidata, senza mai scendere a compromessi con il regime politico ateo.”

La vita di Áron Márton iniziò, nel 1896, in un paesino della Terra dei Siculi, non lontano dal Santuario di Csíksomlyó, visitata da Papa Francesco, Csíkszentdomokos (oggi Sândominic). Dopo il liceo venne arruolato nell’esercito austro-ungarico e per anni combatté, e venne anche ferito tre volte, a Doberdò, negli Carpazi e sull’Altopiano di Asiago. Sul fronte isontino, a Doberdò, la sua memoria viene rievocata da un cartellone informativo e da appositi pellegrinaggi. La guerra rappresentò certamente un’esperienza formativa dolorosa che successivamente lo portò ad evitare ogni soluzione violenta nel cercare di risolvere i gravi problemi della sua gente, anzi, divenne apostolo della non-violenza.

Dopo la guerra entrò nel seminario di Gyulafehérvár (Alba Iulia) e venne ordinato sacerdote nel 1924, quando ormai la Transilvania apparteneva alla Romania. Svolse diversi incarichi pastorali e di insegnamento, sia in contesti rurali che cittadini, sia in territori a prevalenza ungherese sia in quelli dove i magiari, e i cattolici stessi, erano minoranza. Questi anni diventarono per lui una vera scuola di dialogo e di comprensione.

Dopo otto anni di pastorale venne chiamato al servizio della Curia Diocesana, come cappellano e archivista, poi come segretario del vescovo Majláth, dove sperimentò la realtà della lotta quotidiana per la difesa dei diritti della Chiesa e della minoranza ungherese. Nominato, nel 1932 cappellano universitario a Kolozsvár (Cluj), Márton si dedicò alla formazione della futura classe intellettuale cattolica. Anticipando il Concilio Vaticano II, già allora “sapeva che i fedeli laici sono chiamati a una missione apostolica autonoma ed era cosciente del fatto che il cristianesimo può essere fecondo solo in quanto impregna tutta la vita e non solamente una parte di essa”.

L’impegno di Áron Márton “mirava a liberare l’energia naturale insita nel popolo per svilupparne la personalità e incoraggiarne l’impegno nella costruzione della società”. Aderiva in questo modo ad un movimento intellettuale le cui figure di riferimento furono dei personaggi come i compositori Béla Bartók e Zoltán Kodály, “i quali attingendo alla musica popolare edificarono una cattedrale alla moderna musica magiara”.

Per Márton la missione evangelizzatrice della Chiesa era strettamente legata ai valori “popolari” e così “riuscì a formulare un linguaggio pastorale moderno, comprensibile sia alla gente comune sia alla classe intellettuale”. Anzi, “la conoscenza dell’antica eredità culturale del suo popolo, la consapevolezza dei conflitti sociali che stavano scardinando la cultura del suo tempo, l’impegno nella missione della Chiesa fecero di lui l’apostolo ante litteram della nuova evangelizzazione”. Tuttavia Áron Márton non cedeva neanche alla distorsione dell’idea nazionale, imperante all’epoca, in quanto “egli anteponeva l’identità cristiana a quella nazionale, perché Dio è il Creatore, la nazione solo una creatura”. Non tollerava l’istigazione all’odio nazionalista ed è rimasta memorabile la sua affermazione per cui “È un vero magiaro colui che prima di tutto si impegna per Dio.”

Fu nominato vescovo di Gyulafehérvár (Alba Iulia) e consacrato il 12 febbraio 1939 a Kolozsvár (Cluj), nella chiesa di San Michele. Sin dall’inizio del suo ministero episcopale dovette affrontare delle sfide epocali. Fu “una persona costretta dal mondo alla periferia, che (…) ha saputo vedere chiaro ed espletare la sua funzione con pura coscienza evangelica”.

Nel 1940, con il secondo arbitrato di Vienna, la diocesi venne divisa in due parti: la parte settentrionale, a maggioranza ungherese, tornò all’Ungheria per alcuni anni, mentre quella meridionale, dove i cattolici ungheresi costituivano una minoranza, rimase alla Romania, con la sede stessa di Gyulafehérvár. Il Vescovo scelse allora di restare nella parte romena della diocesi “per condividere in tutto la sorte dei suoi connazionali ungheresi della diaspora, situazione di minoranza particolarmente dura e imprevedibile durante la Seconda Guerra Mondiale”.

Durante la persecuzione degli ebrei il Vescovo Márton intervenne in pubblico e con fermezza per fermare le deportazioni e salvare più persone possibile. Il suo impegno nel 1999 verrà, infatti, riconosciuto da Yad Vashem con l’assegnazione del titolo di Giusto fra le Nazioni.

Nel 1946, in occasione dell’annuale pellegrinaggio a Csíksomlyó il Vescovo Áron Márton delineò una visione cristiana del mondo, costruita sulle indicazioni di Papa Pio XII che, per alcuni anni dopo la guerra, si sperava di poter realizzare. Accogliendo l’idea del pluralismo sapeva accettare le opinioni discordanti dalle sue, ed essendo un maestro nell’arte del dialogo e della comprensione, era molto adatto all’evangelizzazione di un mondo sempre più secolarizzato. Vivendo durante due regimi totalitari, il nazismo e il comunismo, egli riteneva che solo i princìpi democratici fossero in grado di formare una società veramente a misura d’uomo.

Tuttavia, dal 1945 si moltiplicarono sempre di più le violazioni dei diritti dei magiari in Romania e poi si arrivò alla soppressione di un’altra minoranza, quelle dei greco-cattolici, da parte del potere comunista. Appena lo Stato soppresse con la forza la Chiesa greco-cattolica dei rumeni della Transilvania, il Vescovo Márton espresse la sua solidarietà, a nome dei cattolici latini della Transilvania verso i loro fratelli di rito bizantino. Anzi, con una circolare invitava i propri sacerdoti a sostenere i greco-cattolici perseguitati e, se necessario, anche ad accoglierli nelle loro chiese. Sia il futuro Cardinale Alexandru Todea, Arcivescovo greco-cattolico di Balázsfalva (Blaj), che l’attuale Cardinale Arcivescovo Maggiore Lucian Mureşan riconoscevano i meriti di Áron Márton. Quest’ultimo dichiarò a proposito di Márton: “Vedendolo da vicino ebbi la sensazione di trovarmi al cospetto di un santo. Non sapevo spiegarmi, né ora saprei farlo, che cosa mi accadde, fu qualcosa di veramente straordinario”.

Biografia di Áron Márton pubblicata in diverse lingue dalla Velar
Il regime comunista chiaramente vedeva in lui un nemico, soprattutto perché si era rifiutato di firmare un accordo che avrebbe sancito l’assoggettamento della Chiesa al regime ateo. L’inflessibile custode della fedeltà alla Chiesa fu arrestato il 21 giugno 1949 e condannato all’ergastolo in un processo-farsa. Rimase inflessibile anche nel carcere e così, in un periodo di distensione, si decise di scarcerarlo, “sospendendo” l’esecuzione della pena che in questo modo però continuava a pendere sopra il suo capo.

Dopo la sua scarcerazione il Vescovo Márton liquidò subito il cosiddetto “movimento cattolico della pace”, introdotto dai comunisti per dividere la Chiesa. Tuttavia “perdonò quanti, pur avendo peccato contro la disciplina ecclesiastica, si erano pentiti e avevano confessato il loro peccato”. Dal 1956 fino alla morte fu costantemente sorvegliato dai famigerati servizi segreti rumeni della Securitate e tra il 1957-1967 era posto agli arresti domiciliari: non poteva lasciare il episcopale e la cattedrale adiacente.

In quel periodo, tuttavia, almeno i suoi seminaristi potevano beneficiare dell’intensa vita spirituale che il loro Vescovo continuava ad irradiare. Le sue omelie pronunciate nella cattedrale “testimoniano che, anche se separato dal mondo, egli teneva il passo con i mutamenti che vi accadevano. Quei discorsi, pronunciati ormai a più di settant’anni di età, rivelano ancora freschezza intellettuale, profonda spiritualità e una fede vissuta e resa autentica dall’esperienza di vita.”

Dal suo “esilio interno” seguiva con molto interesse gli sviluppi del Concilio Vaticano II. “Il pensiero di Márton, infatti, aveva precorso in certo qual modo lo spirito del Concilio già negli anni Trenta, quando, come assistente spirituale degli universitari, formava apostoli laici, o quando, in qualità di redattore del periodico da lui fondato, si preoccupava di fornire basi cristiane a quanti lavoravano nel campo della cultura e della pedagogia. Così si muoveva nello spirito del Concilio come difensore dei diritti umani e opponendosi alle dittature di ogni tempo. (…) Ormai anziano, nei suoi discorsi richiamava la necessità di superare la vecchia visione clericale della Chiesa, perché Cristo non l’ha destinata a dominare, quanto piuttosto a servire.”

Nel 1967 vennero revocati gli arresti domiciliari e, nonostante la salute provata da svariate malattie, si dedicò alla visita delle comunità della sua diocesi, la Transilvania. I suoi discorsi e lettere pastorali significarono un raggio di speranza, le sue visite pastorali e le cresime da lui celebrate furono delle feste autentiche. La sua mera presenza indusse un rinnovamento religioso. “Grazie a lui, il numero dei sacerdoti aumentò. In occasione delle ordinazioni sacerdotali parlò del cristianesimo come impegno e servizio personale. Fu saggio, indefesso, dignitoso e santo anche nelle situazioni più disperate.”

Partecipò al Sinodo dei Vescovi del 1971, e quando Paolo VI lo ricevette in udienza privata, appena lo vide entrare, “si alzò e gli corse incontro, lo abbracciò e poi, rivolgendosi ai giovani sacerdoti presenti, raccomandò loro di seguire in tutto il loro Vescovo, perché è un santo”. Il Vescovo Márton, forte della sua esperienza di oltre la cortina di ferro “vedeva chiaro e sapeva ben distinguere tra la responsabilità della Chiesa nei confronti della società (…) da quella politica dei partiti che, se abbracciata, avrebbe ridotto la Chiesa a semplice strumento del potere terreno o l’avrebbe portata a dominare.”

Papa Giovanni Paolo II per ben sette volte non volle accettare le sue dimissioni e solo dopo aver constatato quanto il Vescovo fosse ormai allo stremo delle forze, gli concesse di ritirarsi. Áron Márton si spense poco dopo, il 29 settembre 1980, festa di San Michele Arcangelo, patrono della sua diocesi. La causa di beatificazione, iniziata nel 1990, è attualmente in corso presso la Congregazione delle Cause dei Santi.

La devozione nei confronti di Áron Márton è andata crescendo negli anni in tutte le comunità ungheresi. Nel 2016 è stato celebrato uno speciale “Anno Áron Márton”, nell’ambito del quale le sue spoglie sono state solennemente traslate in un sarcofago di marmo nella cattedrale di Gyulafehérvár (Alba Iulia). Nel paese natale, a Csíkszentdomokos un museo è stato dedicato alla sua figura, che ne conserva cimeli personali e fotografie ma, soprattutto, intende presentare la sua opera di pastore fedele.
* * *

“La mia missione santa mi impegna di essere il vescovo dei poveri e dei ricchi, degli istruiti e di quelli che non hanno la possibilità di studiare, dei nobili e delle persone semplici, dei fortunati e degli sfortunati, dei peccatori e di quelli nello stato di grazia. Devo indicare a tutti la strada che porta verso Dio, devo mostrarla e renderla desiderabile. Questa mia stessa missione apostolica mi impegna di parlare della nostra fede santa e degli impegni che nascono dalla fede. Dobbiamo imparare a lavorare gli uni per gli altri e a lavorare insieme in ogni campo della vita.” (dalla prima lettera pastorale di Áron Márton, 1939)
(foto: Romkat.ro, ersekseg.ro)


Nessun commento:

Posta un commento