giovedì 23 maggio 2019

Aspettando Papa Francesco a Csíksomlyó – i székely


Oltre 110 mila fedeli si sono registrati per partecipare alla S. Messa di Papa Francesco presso il Santuario di Csíksomlyó/Sumuleu in Romania. Si tratta di circa 1.300 gruppi, oltre ai pellegrini individuali. Secondo i dati non definitivi, saranno circa 83.000 i pellegrini che arriveranno dalle diverse parti della Romania, circa 35.000 quelli provenienti dall’Ungheria e oltre 2.000 da altri paesi.

I più numerosi saranno senza dubbio gli ungheresi della Transilvania, abituali frequentatori di quel Santuario mariano. Molti di loro saranno i székely (in italiano: siculi, in romeno: secui, in inglese: Szeklers), gli abitanti della regione dove si trova Csíksomlyó, chiamata, appunto, Terra dei Siculi (in ungherese: Székelyföld, in romeno: Ținutul Secuiesc, in inglese: Szeklerland).

Giovani székely/siculi in costumi tradizionali
nella processione di Pentecoste a Csíksomlyó/Sumuleu
I székely/siculi sono un gruppo etnico ungherese, vale a dire una popolazione con una identità ungherese che parla la lingua ungherese. La stragrande maggioranza di loro vive compatta nelle Province di Maros/Mures, Hargita/Harghita e Kovászna/Covasna delle quali rappresentano oltre il 75% della popolazione totale.

Le loro origini sono tuttora oggetto di dibattito tra gli storici. Loro stessi tradizionalmente si considerano discendenti del popolo del Principe Csaba, figlio di Attila, re degli unni, una tesi attestata già dalle cronache medievali ungheresi. Le teorie scientifiche odierne li ritengono o un gruppo militare che ebbe in missione la difese delle frontiere orientali del Regno d’Ungheria, oppure una tribù che si unì agli ungari in tempi remoti, oppure una popolazione ungara che si sarebbe insediata nel Bacino dei Carpazi addirittura prima dell’arrivo degli ungheresi stessi (la cui data canonica è l’895).

Ad ogni modo mantengono, da una parte, una decisa identità ungherese, essendo la loro lingua e cultura parte di quella magiara. Dall’altra, invece, sono eredi di una storia che li ha visti sempre un po’ ai margini della nazione ungherese, appartati tra i monti, godendo per lunghi secoli anche di una notevole autonomia organizzativa. Le loro unità amministrative si chiamavano tradizionalmente “szék” ossia seggi, che sono stati trasformati in contee solo nel XIX secolo e poi nelle odierne provincie nel XX secolo. Appartenevano all’Ungheria storica fino alla fine della Grande Guerra, condividendo le sorti della Transilvania, della quale la Terra dei Siculi forma la parte più orientale. In virtù della Dichiarazione di Gyulafehérvár/Alba Iulia del 1 dicembre 1918 (proclamata, proprio dal vescovo greco cattolico rumeno Iuliu Hossu che verrà beatificato durante la visita del Papa a Blaj), la Transilvania è stata occupata dalla Romania, situazione poi sancita dal Trattato del Trianon, il 4 giugno 1920. I székely hanno comunque mantenuto e mantengono tuttora la loro identità culturale e linguistica ungherese.

Espressioni dell’identità székely sono i caratteristici costumi popolari di colore rosso, bianco e nero che vengono usati anche oggi nei giorni di festa. I székely hanno, inoltre, conservato l’antica scrittura runica ungherese (“rovásírás”). Nell’architettura popolare si distinguono per i particolari portoni coperti in legno, detti appunto, portoni székely (székelykapu) ornati da incisioni e pitture.

I loro simboli principali sono il sole e la luna che compaiono anche nella “bandiera székely”, dai colori azzurro-oro-azzurro, che si richiama ad antichi precedenti storici e che oggi si vuole far riconoscere dalle autorità statali come simbolo regionale ma, per il momento, senza successo. Tuttavia i székely si riconoscono anche nel tricolore rosso-bianco-verde e cantano volentieri l’Inno ungherese. Si tratta di due simboli che tradizionalmente accomunano tutti gli ungheresi a prescindere dallo Stato in cui vivono, poiché essi sono entrati nel loro patrimonio culturale ben prima delle divisioni del XX secolo (paradossalmente l’Inno ungherese è divenuto inno nazionale dell’Ungheria formalmente solo nel 1989…).
I székely, però, hanno anche un loro inno proprio, nato nel 1921, nei primi anni travagliati dell’appartenenza alla Romania. Il testo è chiaramente una sorta di invocazione di un popolo tra le avversità, per cui questo inno viene spesso cantato in occasione delle celebrazioni delle comunità székely, anche dopo la messa.
Il testo in italiano sarebbe il seguente:
Inno dei Székely

Chissà per quali vie porta il destino
per scoscese strade e buia notte.
Guida il popol tuo ancor alla vittoria
lassù dalle stelle, Principe Csaba!
Qual roccia erosa siamo noi székely
nel mar in burrasca dei popoli.
I flutti, ahimè, ci sommergeranno,
non abbandonar, oh Dio, la Transilvania!
Pellegrini székely cantano l'Inno dei Székely dopo l'udienza con il S. Padre (10 ottobre 2018)



Esiste, tuttavia, anche il cosiddetto "Inno antico dei székely", nato probabilmente nel XIV secolo come canto dei pellegrini del Santuario di Csíksomlyó (“Ó, én édes Jó Istenem”). È stato immortalato anche da Béla Bartók nel suo celebre “Evening in Transylvania” (“Serata in Transilvania” oppure “Serata dai székely”).




Il testo in italiano sarebbe il seguente:

O, mio dolce Dio,
Protettore ed aiuto,
speranza per l’errante
pane per l’affamato.

Benedici le ali della rondine
il bastone del viandante,
la speranza del székely sulla via,
benedici, o Gesù, la terra di Transilvania.

La rondine rientra dal viaggio,
ritorna sul nido della madre,
anche noi siam tornati, benedetti
dalla Vergine di Csíksomlyó.
Pellegrini della Transilvania cantano l'Inno antico dei székely
a S. Stefano Rotondo (9 maggio 2019)

Nessun commento:

Posta un commento