Mons. Angelo Acerbi (foto: Ondrej Cukan) |
Negli ultimi giorni,
per la prima volta dopo decenni, ho riletto le “memorie” di Mindszenty,
pubblicate nel 1974. Era un libro che aveva emozionato tutti in quel tempo e
che trovavo nella biblioteca privata di tutti gli amici dei miei genitori. Un
libro forte, nel quale il Cardinale esule prova a spiegare il suo punto di
vista su quello che succedeva nella sua amata patria, sugli eventi del suo
processo farsa e la prigionia – e perché ha fatto ciò che ha fatto. Leggendolo
mi rendevo conto che era soprattutto un libro politico, un resoconto sulla
storia, sugli eventi, sulle strutture. Ci sono in esso pochi luoghi dove il
Cardinale parla della sua vita spirituale, della sua relazione con Dio. Quei
pochi passaggi, per esempio quando spiega cosa significhi la preghiera dei
salmi per un uomo in prigione, mi hanno toccato nel più profondo del cuore. È qui
che si incontra non solo il „caso” Mindszenty, non solo il “problema”, come
spesso era visto anche da parte della Chiesa di Roma, ma un uomo che cammina verso
la santità.
Forse questo è una
problematica centrale della figura del Cardinale. La sua profondità spirituale è
stata forse oscurata dal grande dramma della situazione politica nella quale la
sua vita si svolgeva. Ciò ha fatto sì che chiunque parlava di Mindszenty presto
si trovava a scegliere tra due campi. C’era chi lo vedeva come un problema che,
per la sua presenza e per le sue azioni, impediva un vero dialogo fruttuoso tra
i protagonisti della “Ostpolitik”, con Agostino Casaroli in prima fila. Altri,
invece, vedevano quell’avvicinamento come totalmente sbagliato e guardavano
Mindszenty come “l’unico giusto” che è stato sacrificato nel nome di
“compromessi tiepidi”. Vedete come in questa dicotomia, non ci sia molto
spazio per la dimensione spirituale, della santità?
In questi tempi,
quando pure in altri continenti sembra ripresentarsi lo stesso problema, mi sembra
opportuno richiamare un detto del Cardinale Franz König che potrebbe aiutare a superare
quella sfortunata dicotomia. Lui diceva: “Ci vogliono tutti e due: le
trattative ed i martiri”.
È, infatti, di un
alto valore per la Chiesa salvaguardare le strutture necessarie, per ragioni
ecclesiologiche, al proprio lavoro
pastorale, per la vita sacramentale. Ed è di un altrettanto alto valore la
testimonianza dei martiri che vanno in prigione, soffrono e muoiono per la loro
fede.
Non serve
contrapporre l’uno all’altro, così nel presente, come nel passato. In altre
parole, non si deve essere esclusivamente o “per Mindszenty” o “per la
Ostpolitik”.
L’esclusione non è
cat-holos, cattolico. Nella Chiesa c’è spazio per tutti.
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