Si è spento, all’età di cento anni,
Placid Oloffson OSB, sacerdote benedettino ungherese reduce del Gulag.
Tantissimi lo conoscevano in Ungheria per la sua allegria, la sua fede e il suo
gusto di vivere e per le sue “quattro regole della sopravvivenza”.
Nato a Rákosszentmihály nel 1916, entrò
nell’Ordine Benedettino nel 1933 con il nome di Padre Placid (Placido) e
insegnò nei vari licei del suo ordine. Arrestato nel 1946 nel Monastero di
Pannonhalma, per aver parlato contro i comunisti, fu portato nelle camere della
tortura della polizia comunista (ÁVH). Fu condannato a dieci anni di lavori
forzati da scontarsi nell’Unione Sovietica.
P. Placid Oloffson alla messa per i suoi 100 anni (foto: Magyar Kurír) |
A quel punto P. Placid cercava di
capire quale fosse il progetto di Dio per la sua vita. Nei giorni successivi al
processo, finito con diverse condanne a morte, lui venne assegnato alle pulizie
della prigione. Mentre stava lavando il pavimento, cominciò a cantare
sommessamente una canzone popolare ungherese. Quando comprese che la guardia sovietica
che lo sorvegliava non capiva l’ungherese, P. Placid cominciò a comunicare con
i condannati a morte – sempre con la melodia di prima – recandogli conforto e
impartendogli l’assoluzione collettiva, richiesta dalla situazione. Qualche
giorno dopo uno di questi prigionieri, graziato all’ultimo momento, gli raccontò
quanto sia stata provvidenziale quella sua presenza. Così P. Placid capì quale
sarebbe stato per lui il progetto di Dio nella prigionia: sostenere i compagni
nella sofferenza. “Io sono stato l’uomo più felice in tutta l’Unione Sovietica
perché avevo trovato la mia missione.” – diceva, e durante i lavori forzati al
Gulag escogitò le quattro regole della sopravvivenza.
Prima regola per sopravvivere: non fare della propria sofferenza un dramma. Quando qualcuno nel lager cominciava a lamentarsi P. Placid cercò subito di distogliere i suoi pensieri dalle sofferenze e difficoltà che stava affrontando.
La seconda regola è quella di vedere in
ogni situazione le piccole gioie della vita. Padre Placid con i compagni organizzò
un vero “campionato”: vinceva chi riusciva a vedere più gioie e soddisfazioni nella
sua giornata (durante i lavori forzati a -20 gradi in Siberia). Raccontava di
uno dei “campioni” che una volta vinse con ben diciassette cose positive
sperimentate quel giorno e diceva: “Guardate oggi non ho neanche avuto il tempo
per soffrire perché avevo in mente solo le cose positive – non è poi così facile
tenerle in mente tutte…”.
La terza regola consisteva nel
mantenere un portamento dignitoso, di “far vedere anche ai carcerieri di non
essere inferiore a loro”, senza però abbandonarsi alla narrativa di essere
“l’innocente che soffre ingiustamente”. Diceva P. Placid, che egli sapeva
benissimo di non essere “innocente”: lo avevano condannato ai lavori forzati
per aver svolto “propaganda antibolscevica”. Ed era proprio quello che lui
aveva fatto richiamando l’attenzione della gente al pericolo comunista.
La quarta, invece, diceva che è più
facile sopportare la sofferenza se hai un sostegno – un sostegno nella fede in
Dio che comunque non vuole la tua perdizione. A questo riguardo Padre Placid ha
raccontato anche come riuscisse a celebrare la S. Messa al Gulag, la notte, di
nascosto, con dei pezzetti di ostia, ricavati da un dolce, e con del succo d’uva,
ricavato da qualche chicco, ottenuti grazie ai compagni prigionieri di
cittadinanza sovietica, ai quali era permesso ricevere dei pacchi dalle proprie
famiglie.
Una delle sue storie più meravigliose
era forse quella di quel Natale al Gulag (nell’URSS quella festa era,
ovviamente, vietata), quando riuscirono a procurarsi un ramo di abete dalla
foresta dove lavoravano e lo abbellirono con quanto di poco trovarono nel
lager. Causarono poi un corto circuito nel sistema elettrico e così nel buio le
guardie cominciarono a sparare dei razzi colorati dalle torri di avvistamento:
si trattava per loro di veri fuochi d’artificio per la festa! Mentre una
trentina di prigionieri ungheresi stava celebrando nella baracca, entrò
d’improvviso un loro compagno russo, un poeta, anch’egli prigioniero. C’era il
rischio che li denunciasse alle guardie per cospirazione, ma non successe
nulla. Quando, il giorno dopo, P. Placid lo avvicinò, quello gli disse:
“Guardate, io sono stato educato da ateista, ma da quando ieri ho visto che voi
anche in questa situazione avete la forza e la gioia di festeggiare, io non ho
più bisogno di argomenti a favore di Dio.”
Rilasciato dal Gulag nel 1955 e tornato
in Ungheria, P. Placid dovette lavorare come operaio fino alla pensione, poiché
non gli fu permesso di svolgere servizio pastorale. Solo a partire dalla metà
degli anni ’70 poté servire presso la parrocchia di Sant’Emerico di Budapest.
Dopo la caduta del comunismo Padre
Placid invitato spesso nelle varie comunità, ha raccontato ovunque la storia
delle sue sofferenze nei campi di prigionia dell’Unione Sovietica. Ma lo ha
fatto in un modo pieno di fede e di umorismo, che sapeva infondere gioia e
speranza in chiunque lo ascoltasse. Diceva spesso: “Vedete, il Signore ha il
senso dell’umorismo. L’Unione Sovietica per dieci anni ha fatto di tutto per
rovinarmi, eppure io sono tuttora qui, a questa età, ma dov’è ormai l’Unione
Sovietica?”
Insignito
nel 2016, in occasione del suo centesimo compleanno, dell’altissima
onorificenza di stato dell’Ordine d’Onore Ungherese, Padre Placid Oloffson ha
festeggiato, nel dicembre scorso, nella parrocchia di Sant’Emerico. Allora, nel
suo discorso ha esortato i fedeli di essere sempre consapevoli che nella Santa
Messa “si realizza il miracolo più divino di Gesù Redentore” cui possiamo
partecipare anche noi e che ci rende felici anche in questo mondo turbolento. “Cari
fratelli, questa è forse la mia ultima richiesta: sperimentate il mistero della
Santa Messa! Vi garantisco, con fede granitica, che se vi partecipate con
questo spirito, traendone forza per la settimana successiva, allora ci vedremo
nell’eternità. Arrivederci a casa.”
È proprio
nella sua parrocchia che si è placidamente addormentato nel Signore la sera del
15 gennaio 2017. Le sue esequie si svolgono oggi a Budapest e verrà sepolto,
secondo la sua volontà, nella cripta dei benedettini di Pannonhalma.
Appresa la notizia della morte di P.
Placid Oloffson, il Primo Ministro Viktor Orbán ha scritto all’Arciabate di
Pannonhalma Mons. Asztrik Várszegi per esprimere il suo cordoglio: “I cento
anni della sua vita hanno testimoniato che dove c’è lo Spirito del Signore lì
c’è la libertà: così in chiesa e a scuola, come nella prigione e ai lavori
forzati. Da lui abbiamo saputo imparare, assieme alle quattro regole della
sopravvivenza, che neanche la più oscura delle dittature può togliere dal
credente la fiducia in Dio. Siamo grati perché, con il suo personaggio
affascinante e sereno, ha saputo trasmettere coraggio, fede e sollievo spirituale
nella vita di chiunque lo ascoltasse. Ha dato, inoltre, per tutti gli ungheresi,
un esempio di fedeltà e di amore per la patria.”
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