L’Ambasciatore d’Ungheria
Eduard Habsburg-Lothringen ha partecipato al convegno organizzato da Alleanza
Cattolica “30 anni senza Muro. L’Europa non nata”, il 16 novembre a Roma. Nel
suo intervento sull’esperienza ungherese ha parlato della caduta della Cortina
di Ferro e della transizione democratica dal punto di vista ungherese che ha
trovato il suo completamento nelle vicende recenti del paese. Di seguito pubblichiamo
il testo del discorso dell’Ambasciatore.
* * *
(foto: Alleanza Cattolica) |
Il Picnic Paneuropeo
Trent’anni fa, il 19 agosto 1989, alla vigilia della
solennità di Santo Stefano d’Ungheria, patrono del mio Paese, mi trovai sul
confine tra l’Ungheria e l’Austria, vicino alla città ungherese di Sopron. Il
progetto fu quello di partecipare ad un incontro fraterno tra vicini austriaci
ed ungheresi. E invece mi trovai ad assistere alla caduta della Cortina di
Ferro.
Si parla molto della caduta del cd. Muro di Berlino,
divenuto giustamente il simbolo eloquente della Guerra Fredda. Ma quel muro non
era altro che un pezzo, per quanto
vistoso, di un sistema più ampio, la Cortina di Ferro, che “da Stettino nel
Baltico a Trieste nell'Adriatico” (cfr. W. Churchill) divideva il nostro continente
e, con esso i nostri popoli, anzi, nel caso della Germania, addirittura la
stessa nazione.
Quel giorno, vicino a Sopron, si trattava dell’ormai
famoso “Picnic Paneuropeo”, organizzato proprio sul confine tra Ungheria ed Austria,
aprendo temporaneamente un valico di frontiera altrimenti chiuso. Fu un’idea di
alcuni intellettuali ungheresi di opposizione e di Otto von Habsburg, che
intesero organizzare un momento d’incontro fraterno e conviviale, quale segnale
di unità.
Il contesto era già incoraggiante. Bisogna tenere
presente, infatti, che la demolizione fisica della cortina, fatta di filo
spinato e strumenti di rilevamento ecc., iniziò qualche mese prima, il 2 maggio
1989, in quanto divenuto ormai obsoleto. Ciò non significava però ancora
l’apertura de iure del confine.
Furono già in corso, inoltre, le consultazioni tra il regime e i gruppi di
opposizione su una transizione democratica. Il 16 giugno 1989 si ebbero a
Budapest le solenni esequie di Imre Nagy e dei suoi compagni, messi a morte dal
regime comunista dopo la Rivoluzione del 1956. Fu in quella occasione, dei
funerali, che un giovane politico ungherese, Viktor Orbán, capo del partito
FIDESZ, si fece notare con un discorso dal quale si poté capire che egli avesse
una visione per il proprio paese.
(foto: Alleanza Cattolica) |
Succedeva, infatti, che durante l’estate migliaia di
cittadini della Germania dell’Est si radunarono in Ungheria. Forse non tutti lo
sanno, ma era usanza delle famiglie tedesche, sia dell’Est che dell’Ovest,
divise dal Muro di Berlino, di andare a fare le vacanze d’estate in Ungheria,
soprattutto sul Lago Balaton. In quell’epoca era più facile sia per i tedeschi
dell’Ovest che per quelli dell’Est di viaggiare in Ungheria, così lì potevano
incontrare i propri parenti dell’altra metà della Germania. Potremmo dire che
l’Ungheria, seppur al di là della Cortina di Ferro, fungeva nei fatti come una
sorte di ponte sopra il Muro di Berlino.
Nell’estate del 1989 migliaia di cittadini della Germania
orientale stavano cercando di emigrare all’Ovest, approfittando anche delle
loro tradizionali vacanze in Ungheria. Anche perché capirono che in Ungheria stava
succedendo qualcosa. A Budapest tanti di loro si sono rifugiati nell’Ambasciata
della Repubblica Federale Tedesca e quando quella non riusciva più a
contenerli, la vicina Parrocchia della Sacra Famiglia di Zugliget allestì un
campo profughi improvvisato nel giardino della chiesa, sostenuto anche dal Servizio
di Carità dell’Ordine di Malta, di recente costituzione. Padre Imre Kozma alla
guida dei suoi parrocchiani fu artefice ed eroe riconosciuto di quella storica
impresa di accoglienza.
Successe così, che tra questi tedeschi dell’Est si sparse
la voce che a Sopron si sarebbe aperta la frontiera per qualche ora. Ed essi si
presentarono sul posto in gran numero. Nel corso del Picnic Paneuropeo gli
organizzatori, con Walburga Habsburg Douglas hanno simbolicamente aperto il
valico di frontiera (che era una strada sterrata tra i campi). Approfittando
del momento i cittadini tedeschi si slanciarono improvvisamente e sfondarono il
confine. Il piccolo contingente della polizia di frontiera ungherese decise di
non usare le armi, nonostante le regole d’ingaggio in vigore lo prevedessero. Quel
pomeriggio 6-700 tedeschi fuggirono in Austria e circa 12 mila li seguirono nei
giorni successivi.
Quest’anno, in occasione dei festeggiamenti dell’anniversario,
la Cancelliera Angela Merkel disse che con l’apertura di quel valico
“l’Ungheria diede un contributo alla realizzazione del miracolo
dell’unificazione tedesca”.
Il Governo ungherese di allora, guidato dal comunista
riformista Miklós Németh, cercò di risolvere la situazione delle ormai decine
di migliaia di profughi tedeschi. Per fortuna l’Ungheria poco prima aveva
aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, anche per poter gestire la
presenza delle migliaia di ungheresi che fuggivano in quegli stessi anni dalla
Transilvania, dalla Romania di Ceausescu. Tale Convenzione risultò uno
strumento utile anche per la decisione che il Governo ungherese adottò, dopo
negoziati segreti con la Germania occidentale, quella cioè di permettere, anche
ufficialmente, ai profughi tedeschi di fuggire attraverso l’Ungheria.
L’apertura della frontiera austro-ungherese avvenne l’11 settembre 1989.
La ritrovata libertà
dell’Ungheria
Ma vediamo cosa comportò per l’Ungheria la caduta della
Cortina di Ferro. Anche i dirigenti dell’Ungheria comunista si resero conto di
quello che il popolo di Budapest, sempre incline alle battute, riassumeva così:
“Sapete qual è la differenza tra il socialismo reale e il socialismo che
funziona? Il socialismo reale non funziona, il socialismo che funziona non è
reale…”.
Il cambiamento di regime in Ungheria venne preparato da
una serie di consultazioni e negoziati tra i rappresentanti del regime e quelli
dei principali gruppi dissidenti, o di opposizione, che in seguito si
costituirono in partiti veri e propri.
Il 23 ottobre 1989, anniversario della Rivoluzione del
’56, venne proclamata la Repubblica, invece della “Repubblica popolare”. Ciò
sancì formalmente il cambio della forma di stato comunista in quella
democratica. Che, certo, andava poi riempita di contenuti, anche tramite le
prime elezioni libere della primavera del 1990.
Il Cardinale Péter Erdő, in una recente conferenza della
Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger a Budapest ha riassunto così quanto
avvenne: “Così di fatto i primi regimi democratici sono nati in base a dei
patti tra o con dirigenti comunisti. In tal modo è rimasta la continuità
giuridica con lo stato comunista e con le sue istituzioni. A livello di
costituzione l’intero cambiamento di sistema è avvenuto mediante una modifica
della costituzione stalinista del 1949 effettuata dall’ultimo parlamento
comunista nell’ottobre 1989. Sotto l’aspetto politico la pacificità del
cambiamento significò, che non ci fu alcuna vendetta contro i capi comunisti e
i membri delle forze armate dell’epoca precedente. Ci furono alcune leggi di
lustrazione, ma non fu prevista l’incompatibilità delle funzioni politiche del
nuovo regime con un passato politico nel regime precedente. Due noti personaggi
dell’epoca comunista hanno persino vinto le elezioni politiche nel nuovo
sistema democratico nel 1994 e nel 2002. Questo vuol dire che tale tipo di
transizione pacifica, malgrado le contraddizioni, non era contrario
all’atteggiamento di una parte notevole della popolazione.”
Si trattò di venti anni di transizione: dal comunismo
alla democrazia, dall’economia di mercato al capitalismo. Dal blocco sovietico
all’Unione Europea e alla NATO. I comunisti di prima spesso riuscirono a
trasformare il loro potere politico in potere economico, ma anche mediatico. Al
posto dell’ideologia comunista sposarono quella liberale. E l’Ungheria si trovò
esposta all’economia internazionale, ai cambiamenti della globalizzazione con
uno Stato che venne, invece, indebolito. Si voleva più libertà ma si ottenne
anche più liberalismo. Privatizzando le fabbriche e le ditte ungheresi le
grandi aziende internazionali o multinazionali hanno praticamente voluto
comprarsi il mercato ungherese. Ciò comportò la chiusura di tante fabbriche e
l’aumento della disoccupazione, senza che lo stato potesse – o volesse –
assicurare un’adeguata difesa per il mondo del lavoro.
Citerei di nuovo il riassunto del Cardinale Péter Erdő:
“Erano noti i casi di svendita del patrimonio nazionale da parte di alcuni
dirigenti comunisti a delle società capitaliste internazionali. La conseguenza
di ciò è stata all’inizio una notevole disoccupazione e la crescita del debito
nazionale. La propaganda comunista inculcava alle masse, che il lavoro è molto
importante, e che fa onore e gloria ai lavoratori. Nel nuovo sistema tutta la
società poteva vedere, che il lavoro di molti veniva considerato superfluo e
senza valore e che il denaro e la ricchezza non provengono dal lavoro, ma, non
di rado, dalla speculazione e dagli affari sporchi. In seguito a queste
circostanze, in molti paesi postcomunisti la società ha cominciato a
comportarsi in modo criminoso. Già solo la convertibilità della moneta
nazionale — che era una vera e propria novità — ha provocato la crescita del
commercio degli stupefacenti e la penetrazione della criminalità internazionale
in questi paesi.”
La debolezza dello Stato era dovuto anche al grande
debito pubblico che era in mano a soggetti stranieri che potevano perciò
condizionarne le politiche. A ciò si aggiunse, nel primo decennio del nuovo
millennio, anche un progressivo indebitamento della popolazione. Per fare solo
un esempio ad illustrare la situazione posso menzionare che in seguito alle
grandi privatizzazioni praticamente tutti i maggiori fornitori di utenze alla
popolazione, come acqua, luce, gas ecc. erano praticamente finiti in mano
straniera.
La crisi finanziaria ed economica del 2008-2009 trovò
l’Ungheria impreparata. Il paese era sull’orlo del fallimento. Inoltre, il governo
socialista di allora aveva perso credibilità e sostegno popolare in seguito alle
rivelazioni contenute in un discorso dell’allora primo ministro Gyurcsány sullo
stato dell’economia e sulle politiche del governo medesimo. Si trattò di una
crisi morale che nell’autunno 2006 sfociò in manifestazioni di massa a
Budapest, represse violentemente dalla polizia.
2010 - una nuova “rivoluzione”
Fu in questo contesto che nella primavera del 2010 il FIDESZ
e il Partito Democristiano (KDNP) vinsero le elezioni politiche, ottenendo una
maggioranza di oltre 2/3 in parlamento. Il parlamento e il Governo guidato da
Viktor Orbán iniziarono a trasformare il paese. Lui stesso qualificò
quest’impresa come una vera “rivoluzione costituzionale”.
Nel discorso pronunciato al congresso degli intellettuali
cristiani (KÉSZ) quest’autunno il Primo Ministro lo volle riassumere così: “Il
primo cambio di regime nel 1990 pose fine al mondo sovietico. Sovietici fuori,
comunisti giù, libertà su! Fu questo il primo cambio di regime che potremmo
definire come un cambiamento di regime liberale, ossia la liberazione
dall’oppressione, dalla dittatura. Ciò risultò per forza in una democrazia
liberale che ebbe al centro il liberalismo, la libertà da qualcosa. C’erano già
allora quanti riconobbero che così non andava bene, ovvero che ciò non bastava.
Non basta affermare di voler essere liberi da
qualcosa. Bisogna anche dare una risposta alla domanda sul perché vogliamo essere liberi. Sul come vorremmo utilizzare la
nostra libertà. Che tipo di realtà vorremmo costruire con la nostra libertà
politica e costituzionale. Per questo serviva il secondo cambio di regime,
quello del 2010.”
Forse vi ricorderete che l’Ungheria iniziò in quegli anni
a comparire sulla stampa occidentale, quella liberale e di sinistra,
soprattutto, come oggetto di severe critiche. Ma cosa stava avvenendo?
Il governo FIDESZ-KDNP ha capito che le riforme del
cambio di regime del 1989-1990 andavano completate, o addirittura, andavano
corrette. Nel corso di questo processo, grazie alla maggioranza costituzionale
affidata dagli ungheresi al Governo – e riconfermata per ben due volte – sono
state varate nuove leggi per regolare la vita del paese e della società.
Cominciando proprio con una nuova costituzione, che andava a sostituire quella
di prima, originaria del 1949, quindi comunista, seppur modificata nel 1989.
La nuova Legge Fondamentale dell’Ungheria è stata
promulgata significativamente il giorno del lunedì di Pasqua del 2011, mentre
l’Ungheria era il presidente di turno dell’Unione Europea. La novità del testo
si può rilevare soprattutto nella presenza preminente dei valori fondamentali
sulle quali si vuole costruire il paese. Basta leggere il preambolo, intitolato
“Professione nazionale”. Uno dei tratti distintivi è, in generale, l’attenzione
all’equilibrio tra comunità e persona privata, ma contiene anche elementi che
potremmo dire innovativi sulla tutela dell’ambiente e del futuro sostenibile.
Il primo ministro Viktor Orbán lo ha definito
recentemente una vera e propria “rivoluzione costituzionale” in senso nazionale
e cristiano che equivale praticamente ad un secondo cambio di regime. Nella
politica ungherese si cita spesso il detto sarcastico di József Antall, capo
del primo governo democraticamente eletto (1990-1993). Quando gli si mossero
delle critiche riguardo a compromessi e lentezze nel cambio di regime egli rispose:
“E allora, perché non avete voluto fare la rivoluzione?” (Tetszettek volna
forradalmat csinálni!”). Ecco, questa rivoluzione costituzionale degli anni
successivi al 2010 era intesa a correggere il primo cambiamento di regime del
1989-1990, a completamento della transizione.
Viktor Orbán stesso ha voluto riassumere così il senso di
questo cambiamento: “Abbiamo creato uno stato democristiano centro-europeo e
ungherese. Lo stato ungherese di oggi è fondato sulla democrazia cristiana e
non sulla democrazia liberale. Democrazia sì, liberalismo no.” Inizialmente
parlava anche di “democrazia illiberale”, che è stato mal compreso nella stampa
internazionale. Illiberale, in questo senso, voleva semplicemente dire: non
fondata sull’ideologia liberale. Questo secondo cambio di regime è stato,
quindi, non liberale, ma nazionale, nel senso di rafforzare gli elementi di sovranità
nazionale che gli anni della lunga transizione avevano indebolito.
Ma cosa comportava questo secondo cambio di regime,
questa rivoluzione nazionale? Sempre Viktor Orbán lo riassume così (al
Congresso del FIDESZ dello scorso settembre): “Invece della libertà dei
liberali abbiamo voluto la libertà cristiana. La libertà cristiana in politica
non è qualcosa di astratto. Anzi, è molto concreta, comprensibile e tangibile.
Patrioti invece dei cosmopoliti. Amore per la patria invece
dell’internazionalismo. Matrimonio e famiglia invece della propaganda a favore
dei rapporti tra le persone dello stesso sesso. Tutela dei nostri bambini
invece della liberalizzazione delle droghe. Difesa dei confini invece delle
migrazioni. Bambini ungheresi invece di immigrati. Cultura cristiana invece di
un miscuglio multiculturale. Ordine e sicurezza invece della violenza e del
terrore.”
Nella pratica i risultati, dopo questi 30 anni dalla
caduta della Cortina di Ferro e quasi 10 da questa “seconda rivoluzione” sono i
seguenti. Il debito pubblico ungherese è attorno al 70% del PIL e per i 4/5 è
in mano agli ungheresi (10 anni prima si trattava dell’85% del PIL,
prevalentemente in mano a creditori stranieri). L’inflazione è bassa, il PIL
cresce bene a ritmi sostenuti. Oggi 850 mila persona in più hanno lavoro
rispetto al 2010. Il salario minimo è stato raddoppiato, il reddito medio è
cresciuto del 50%. È stato creato un sistema tributario che aiuti le famiglie e
le imprese. Solo un esempio: una persona che ha tre bambini o più, non deve praticamente
pagare la tassa sul reddito, per effetto delle detrazioni e agevolazioni. Negli
ultimi anni è stato possibile lanciare un piano articolato a sostegno delle famiglie.
La maggior parte delle aziende di rilevanza strategica
per il paese, come le utenze, i media, le banche, il settore energetico sono di
nuovo in mano ungherese (ciò andava a ledere notevoli interessi e ha causato
non poche critiche, certo, ma risulta vantaggiosa per la popolazione). Secondo
i dati dell’UE a partire del 2010 un milione di ungheresi hanno potuto
sollevarsi dalla povertà.
L’Ungheria è membro dell’Unione Europea, alla quale
abbiamo voluto sin dall’inizio appartenere. L’Europa gode di una grande popolarità
tra gli ungheresi. Ciò non vuol dire però un entusiasmo acritico. E soprattutto
non l’accettazione di una sorta di cittadinanza di seconda categoria. Uno degli
obiettivi fondamentali dell’Ungheria è quello del rafforzamento dell’Europa
Centrale. Si tratta dei cosiddetti Paesi di Visegrád, ma non solo. Una regione
le cui nazioni hanno avuto tanto in comune, nonostante molte tensioni,
soprattutto nell’ultimo secolo. Una regione che ha spesso dovuto lottare per
conservare la propria libertà e identità da ingerenze di grandi potenze. Una
regione la cui ricchezza è data dalla sua varietà linguistica, culturale e
religiosa, che pure forma una cultura caratteristica di questa regione. Alcuni
la chiamano Mitteleuropa.
Bisogna chiarire, infine, per evitare fraintesi, che il
fatto che il Governo ungherese professi orgogliosamente il cristianesimo come
parte fondamentale dell’identità della Nazione e come guida della propria
azione politica, non vuol dire che si voglia costruire uno stato confessionale.
La società ungherese, tutto sommato, non è meno secolarizzata di altri popoli
europei. Vuole semplicemente dire che il cristianesimo è parte della cosiddetta
identità costituzionale del paese e della Nazione. Un governo democratico ha il
dovere di tenere presente tale identità, che va oltre ai desideri del momento
di alcuni gruppi di potere o di opinione. Certo, nessuno vuole affermare che i
politici in Ungheria siano tutti dei “santi”, che non ci siano errori o sbagli.
Ma l’importante è quello di avere chiara la direzione e l’obiettivo da
perseguire, basandosi su dei principi saldi.
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