domenica 17 novembre 2019

Il muro di Berlino iniziò a vacillare in Ungheria – testo dell’intervento dell’Ambasciatore Eduard Habsburg-Lothringen al convegno “30 anni senza Muro. L’Europa non nata”


L’Ambasciatore d’Ungheria Eduard Habsburg-Lothringen ha partecipato al convegno organizzato da Alleanza Cattolica “30 anni senza Muro. L’Europa non nata”, il 16 novembre a Roma. Nel suo intervento sull’esperienza ungherese ha parlato della caduta della Cortina di Ferro e della transizione democratica dal punto di vista ungherese che ha trovato il suo completamento nelle vicende recenti del paese. Di seguito pubblichiamo il testo del discorso dell’Ambasciatore.
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(foto: Alleanza Cattolica)
Il Picnic Paneuropeo
Trent’anni fa, il 19 agosto 1989, alla vigilia della solennità di Santo Stefano d’Ungheria, patrono del mio Paese, mi trovai sul confine tra l’Ungheria e l’Austria, vicino alla città ungherese di Sopron. Il progetto fu quello di partecipare ad un incontro fraterno tra vicini austriaci ed ungheresi. E invece mi trovai ad assistere alla caduta della Cortina di Ferro.
Si parla molto della caduta del cd. Muro di Berlino, divenuto giustamente il simbolo eloquente della Guerra Fredda. Ma quel muro non era altro che un pezzo, per quanto vistoso, di un sistema più ampio, la Cortina di Ferro, che “da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico” (cfr. W. Churchill) divideva il nostro continente e, con esso i nostri popoli, anzi, nel caso della Germania, addirittura la stessa nazione.
Quel giorno, vicino a Sopron, si trattava dell’ormai famoso “Picnic Paneuropeo”, organizzato proprio sul confine tra Ungheria ed Austria, aprendo temporaneamente un valico di frontiera altrimenti chiuso. Fu un’idea di alcuni intellettuali ungheresi di opposizione e di Otto von Habsburg, che intesero organizzare un momento d’incontro fraterno e conviviale, quale segnale di unità.
Il contesto era già incoraggiante. Bisogna tenere presente, infatti, che la demolizione fisica della cortina, fatta di filo spinato e strumenti di rilevamento ecc., iniziò qualche mese prima, il 2 maggio 1989, in quanto divenuto ormai obsoleto. Ciò non significava però ancora l’apertura de iure del confine. Furono già in corso, inoltre, le consultazioni tra il regime e i gruppi di opposizione su una transizione democratica. Il 16 giugno 1989 si ebbero a Budapest le solenni esequie di Imre Nagy e dei suoi compagni, messi a morte dal regime comunista dopo la Rivoluzione del 1956. Fu in quella occasione, dei funerali, che un giovane politico ungherese, Viktor Orbán, capo del partito FIDESZ, si fece notare con un discorso dal quale si poté capire che egli avesse una visione per il proprio paese.
Tornando però al “Picnic Paneuropeo” di Sopron, si può comprendere che esso avvenne in un clima di cambiamenti già avviati. Ma comunque cosa c’entra tutto questo con il Muro di Berlino? C’entra perché, secondo il cancelliere tedesco Helmut Kohl, “È stata l’Ungheria a scardinare la prima pietra del muro”. E quella prima pietra io la vidi cadere proprio lì, vicino a Sopron.
(foto: Alleanza Cattolica)
Succedeva, infatti, che durante l’estate migliaia di cittadini della Germania dell’Est si radunarono in Ungheria. Forse non tutti lo sanno, ma era usanza delle famiglie tedesche, sia dell’Est che dell’Ovest, divise dal Muro di Berlino, di andare a fare le vacanze d’estate in Ungheria, soprattutto sul Lago Balaton. In quell’epoca era più facile sia per i tedeschi dell’Ovest che per quelli dell’Est di viaggiare in Ungheria, così lì potevano incontrare i propri parenti dell’altra metà della Germania. Potremmo dire che l’Ungheria, seppur al di là della Cortina di Ferro, fungeva nei fatti come una sorte di ponte sopra il Muro di Berlino.
Nell’estate del 1989 migliaia di cittadini della Germania orientale stavano cercando di emigrare all’Ovest, approfittando anche delle loro tradizionali vacanze in Ungheria. Anche perché capirono che in Ungheria stava succedendo qualcosa. A Budapest tanti di loro si sono rifugiati nell’Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca e quando quella non riusciva più a contenerli, la vicina Parrocchia della Sacra Famiglia di Zugliget allestì un campo profughi improvvisato nel giardino della chiesa, sostenuto anche dal Servizio di Carità dell’Ordine di Malta, di recente costituzione. Padre Imre Kozma alla guida dei suoi parrocchiani fu artefice ed eroe riconosciuto di quella storica impresa di accoglienza.
Successe così, che tra questi tedeschi dell’Est si sparse la voce che a Sopron si sarebbe aperta la frontiera per qualche ora. Ed essi si presentarono sul posto in gran numero. Nel corso del Picnic Paneuropeo gli organizzatori, con Walburga Habsburg Douglas hanno simbolicamente aperto il valico di frontiera (che era una strada sterrata tra i campi). Approfittando del momento i cittadini tedeschi si slanciarono improvvisamente e sfondarono il confine. Il piccolo contingente della polizia di frontiera ungherese decise di non usare le armi, nonostante le regole d’ingaggio in vigore lo prevedessero. Quel pomeriggio 6-700 tedeschi fuggirono in Austria e circa 12 mila li seguirono nei giorni successivi.
Quest’anno, in occasione dei festeggiamenti dell’anniversario, la Cancelliera Angela Merkel disse che con l’apertura di quel valico “l’Ungheria diede un contributo alla realizzazione del miracolo dell’unificazione tedesca”.
Il Governo ungherese di allora, guidato dal comunista riformista Miklós Németh, cercò di risolvere la situazione delle ormai decine di migliaia di profughi tedeschi. Per fortuna l’Ungheria poco prima aveva aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, anche per poter gestire la presenza delle migliaia di ungheresi che fuggivano in quegli stessi anni dalla Transilvania, dalla Romania di Ceausescu. Tale Convenzione risultò uno strumento utile anche per la decisione che il Governo ungherese adottò, dopo negoziati segreti con la Germania occidentale, quella cioè di permettere, anche ufficialmente, ai profughi tedeschi di fuggire attraverso l’Ungheria. L’apertura della frontiera austro-ungherese avvenne l’11 settembre 1989.

La ritrovata libertà dell’Ungheria
Ma vediamo cosa comportò per l’Ungheria la caduta della Cortina di Ferro. Anche i dirigenti dell’Ungheria comunista si resero conto di quello che il popolo di Budapest, sempre incline alle battute, riassumeva così: “Sapete qual è la differenza tra il socialismo reale e il socialismo che funziona? Il socialismo reale non funziona, il socialismo che funziona non è reale…”.
Il cambiamento di regime in Ungheria venne preparato da una serie di consultazioni e negoziati tra i rappresentanti del regime e quelli dei principali gruppi dissidenti, o di opposizione, che in seguito si costituirono in partiti veri e propri.
Il 23 ottobre 1989, anniversario della Rivoluzione del ’56, venne proclamata la Repubblica, invece della “Repubblica popolare”. Ciò sancì formalmente il cambio della forma di stato comunista in quella democratica. Che, certo, andava poi riempita di contenuti, anche tramite le prime elezioni libere della primavera del 1990.
Il Cardinale Péter Erdő, in una recente conferenza della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger a Budapest ha riassunto così quanto avvenne: “Così di fatto i primi regimi democratici sono nati in base a dei patti tra o con dirigenti comunisti. In tal modo è rimasta la continuità giuridica con lo stato comunista e con le sue istituzioni. A livello di costituzione l’intero cambiamento di sistema è avvenuto mediante una modifica della costituzione stalinista del 1949 effettuata dall’ultimo parlamento comunista nell’ottobre 1989. Sotto l’aspetto politico la pacificità del cambiamento significò, che non ci fu alcuna vendetta contro i capi comunisti e i membri delle forze armate dell’epoca precedente. Ci furono alcune leggi di lustrazione, ma non fu prevista l’incompatibilità delle funzioni politiche del nuovo regime con un passato politico nel regime precedente. Due noti personaggi dell’epoca comunista hanno persino vinto le elezioni politiche nel nuovo sistema democratico nel 1994 e nel 2002. Questo vuol dire che tale tipo di transizione pacifica, malgrado le contraddizioni, non era contrario all’atteggiamento di una parte notevole della popolazione.”
Si trattò di venti anni di transizione: dal comunismo alla democrazia, dall’economia di mercato al capitalismo. Dal blocco sovietico all’Unione Europea e alla NATO. I comunisti di prima spesso riuscirono a trasformare il loro potere politico in potere economico, ma anche mediatico. Al posto dell’ideologia comunista sposarono quella liberale. E l’Ungheria si trovò esposta all’economia internazionale, ai cambiamenti della globalizzazione con uno Stato che venne, invece, indebolito. Si voleva più libertà ma si ottenne anche più liberalismo. Privatizzando le fabbriche e le ditte ungheresi le grandi aziende internazionali o multinazionali hanno praticamente voluto comprarsi il mercato ungherese. Ciò comportò la chiusura di tante fabbriche e l’aumento della disoccupazione, senza che lo stato potesse – o volesse – assicurare un’adeguata difesa per il mondo del lavoro.
Citerei di nuovo il riassunto del Cardinale Péter Erdő: “Erano noti i casi di svendita del patrimonio nazionale da parte di alcuni dirigenti comunisti a delle società capitaliste internazionali. La conseguenza di ciò è stata all’inizio una notevole disoccupazione e la crescita del debito nazionale. La propaganda comunista inculcava alle masse, che il lavoro è molto importante, e che fa onore e gloria ai lavoratori. Nel nuovo sistema tutta la società poteva vedere, che il lavoro di molti veniva considerato superfluo e senza valore e che il denaro e la ricchezza non provengono dal lavoro, ma, non di rado, dalla speculazione e dagli affari sporchi. In seguito a queste circostanze, in molti paesi postcomunisti la società ha cominciato a comportarsi in modo criminoso. Già solo la convertibilità della moneta nazionale — che era una vera e propria novità — ha provocato la crescita del commercio degli stupefacenti e la penetrazione della criminalità internazionale in questi paesi.”
La debolezza dello Stato era dovuto anche al grande debito pubblico che era in mano a soggetti stranieri che potevano perciò condizionarne le politiche. A ciò si aggiunse, nel primo decennio del nuovo millennio, anche un progressivo indebitamento della popolazione. Per fare solo un esempio ad illustrare la situazione posso menzionare che in seguito alle grandi privatizzazioni praticamente tutti i maggiori fornitori di utenze alla popolazione, come acqua, luce, gas ecc. erano praticamente finiti in mano straniera.
La crisi finanziaria ed economica del 2008-2009 trovò l’Ungheria impreparata. Il paese era sull’orlo del fallimento. Inoltre, il governo socialista di allora aveva perso credibilità e sostegno popolare in seguito alle rivelazioni contenute in un discorso dell’allora primo ministro Gyurcsány sullo stato dell’economia e sulle politiche del governo medesimo. Si trattò di una crisi morale che nell’autunno 2006 sfociò in manifestazioni di massa a Budapest, represse violentemente dalla polizia.

2010 - una nuova “rivoluzione”
Fu in questo contesto che nella primavera del 2010 il FIDESZ e il Partito Democristiano (KDNP) vinsero le elezioni politiche, ottenendo una maggioranza di oltre 2/3 in parlamento. Il parlamento e il Governo guidato da Viktor Orbán iniziarono a trasformare il paese. Lui stesso qualificò quest’impresa come una vera “rivoluzione costituzionale”.
Nel discorso pronunciato al congresso degli intellettuali cristiani (KÉSZ) quest’autunno il Primo Ministro lo volle riassumere così: “Il primo cambio di regime nel 1990 pose fine al mondo sovietico. Sovietici fuori, comunisti giù, libertà su! Fu questo il primo cambio di regime che potremmo definire come un cambiamento di regime liberale, ossia la liberazione dall’oppressione, dalla dittatura. Ciò risultò per forza in una democrazia liberale che ebbe al centro il liberalismo, la libertà da qualcosa. C’erano già allora quanti riconobbero che così non andava bene, ovvero che ciò non bastava. Non basta affermare di voler essere liberi da qualcosa. Bisogna anche dare una risposta alla domanda sul perché vogliamo essere liberi. Sul come vorremmo utilizzare la nostra libertà. Che tipo di realtà vorremmo costruire con la nostra libertà politica e costituzionale. Per questo serviva il secondo cambio di regime, quello del 2010.”
Forse vi ricorderete che l’Ungheria iniziò in quegli anni a comparire sulla stampa occidentale, quella liberale e di sinistra, soprattutto, come oggetto di severe critiche. Ma cosa stava avvenendo?
Il governo FIDESZ-KDNP ha capito che le riforme del cambio di regime del 1989-1990 andavano completate, o addirittura, andavano corrette. Nel corso di questo processo, grazie alla maggioranza costituzionale affidata dagli ungheresi al Governo – e riconfermata per ben due volte – sono state varate nuove leggi per regolare la vita del paese e della società. Cominciando proprio con una nuova costituzione, che andava a sostituire quella di prima, originaria del 1949, quindi comunista, seppur modificata nel 1989.
La nuova Legge Fondamentale dell’Ungheria è stata promulgata significativamente il giorno del lunedì di Pasqua del 2011, mentre l’Ungheria era il presidente di turno dell’Unione Europea. La novità del testo si può rilevare soprattutto nella presenza preminente dei valori fondamentali sulle quali si vuole costruire il paese. Basta leggere il preambolo, intitolato “Professione nazionale”. Uno dei tratti distintivi è, in generale, l’attenzione all’equilibrio tra comunità e persona privata, ma contiene anche elementi che potremmo dire innovativi sulla tutela dell’ambiente e del futuro sostenibile.
Il primo ministro Viktor Orbán lo ha definito recentemente una vera e propria “rivoluzione costituzionale” in senso nazionale e cristiano che equivale praticamente ad un secondo cambio di regime. Nella politica ungherese si cita spesso il detto sarcastico di József Antall, capo del primo governo democraticamente eletto (1990-1993). Quando gli si mossero delle critiche riguardo a compromessi e lentezze nel cambio di regime egli rispose: “E allora, perché non avete voluto fare la rivoluzione?” (Tetszettek volna forradalmat csinálni!”). Ecco, questa rivoluzione costituzionale degli anni successivi al 2010 era intesa a correggere il primo cambiamento di regime del 1989-1990, a completamento della transizione.
Viktor Orbán stesso ha voluto riassumere così il senso di questo cambiamento: “Abbiamo creato uno stato democristiano centro-europeo e ungherese. Lo stato ungherese di oggi è fondato sulla democrazia cristiana e non sulla democrazia liberale. Democrazia sì, liberalismo no.” Inizialmente parlava anche di “democrazia illiberale”, che è stato mal compreso nella stampa internazionale. Illiberale, in questo senso, voleva semplicemente dire: non fondata sull’ideologia liberale. Questo secondo cambio di regime è stato, quindi, non liberale, ma nazionale, nel senso di rafforzare gli elementi di sovranità nazionale che gli anni della lunga transizione avevano indebolito.
Ma cosa comportava questo secondo cambio di regime, questa rivoluzione nazionale? Sempre Viktor Orbán lo riassume così (al Congresso del FIDESZ dello scorso settembre): “Invece della libertà dei liberali abbiamo voluto la libertà cristiana. La libertà cristiana in politica non è qualcosa di astratto. Anzi, è molto concreta, comprensibile e tangibile. Patrioti invece dei cosmopoliti. Amore per la patria invece dell’internazionalismo. Matrimonio e famiglia invece della propaganda a favore dei rapporti tra le persone dello stesso sesso. Tutela dei nostri bambini invece della liberalizzazione delle droghe. Difesa dei confini invece delle migrazioni. Bambini ungheresi invece di immigrati. Cultura cristiana invece di un miscuglio multiculturale. Ordine e sicurezza invece della violenza e del terrore.”
Nella pratica i risultati, dopo questi 30 anni dalla caduta della Cortina di Ferro e quasi 10 da questa “seconda rivoluzione” sono i seguenti. Il debito pubblico ungherese è attorno al 70% del PIL e per i 4/5 è in mano agli ungheresi (10 anni prima si trattava dell’85% del PIL, prevalentemente in mano a creditori stranieri). L’inflazione è bassa, il PIL cresce bene a ritmi sostenuti. Oggi 850 mila persona in più hanno lavoro rispetto al 2010. Il salario minimo è stato raddoppiato, il reddito medio è cresciuto del 50%. È stato creato un sistema tributario che aiuti le famiglie e le imprese. Solo un esempio: una persona che ha tre bambini o più, non deve praticamente pagare la tassa sul reddito, per effetto delle detrazioni e agevolazioni. Negli ultimi anni è stato possibile lanciare un piano articolato a sostegno delle famiglie.
La maggior parte delle aziende di rilevanza strategica per il paese, come le utenze, i media, le banche, il settore energetico sono di nuovo in mano ungherese (ciò andava a ledere notevoli interessi e ha causato non poche critiche, certo, ma risulta vantaggiosa per la popolazione). Secondo i dati dell’UE a partire del 2010 un milione di ungheresi hanno potuto sollevarsi dalla povertà.
L’Ungheria è membro dell’Unione Europea, alla quale abbiamo voluto sin dall’inizio appartenere. L’Europa gode di una grande popolarità tra gli ungheresi. Ciò non vuol dire però un entusiasmo acritico. E soprattutto non l’accettazione di una sorta di cittadinanza di seconda categoria. Uno degli obiettivi fondamentali dell’Ungheria è quello del rafforzamento dell’Europa Centrale. Si tratta dei cosiddetti Paesi di Visegrád, ma non solo. Una regione le cui nazioni hanno avuto tanto in comune, nonostante molte tensioni, soprattutto nell’ultimo secolo. Una regione che ha spesso dovuto lottare per conservare la propria libertà e identità da ingerenze di grandi potenze. Una regione la cui ricchezza è data dalla sua varietà linguistica, culturale e religiosa, che pure forma una cultura caratteristica di questa regione. Alcuni la chiamano Mitteleuropa.
Bisogna chiarire, infine, per evitare fraintesi, che il fatto che il Governo ungherese professi orgogliosamente il cristianesimo come parte fondamentale dell’identità della Nazione e come guida della propria azione politica, non vuol dire che si voglia costruire uno stato confessionale. La società ungherese, tutto sommato, non è meno secolarizzata di altri popoli europei. Vuole semplicemente dire che il cristianesimo è parte della cosiddetta identità costituzionale del paese e della Nazione. Un governo democratico ha il dovere di tenere presente tale identità, che va oltre ai desideri del momento di alcuni gruppi di potere o di opinione. Certo, nessuno vuole affermare che i politici in Ungheria siano tutti dei “santi”, che non ci siano errori o sbagli. Ma l’importante è quello di avere chiara la direzione e l’obiettivo da perseguire, basandosi su dei principi saldi.


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