sabato 8 ottobre 2016

Santa Maria Patrona dell’Ungheria – il culto della Magna Domina Hungarorum


La Madonna della Cappella Ungherese
in Vaticano
Il culto della Vergine Maria in Ungheria è una devozione antichissima che risente anche di certi elementi pre-cristiani della cultura popolare. Per gli ungheresi il titolo specifico della Vergine è Beata Regina (Boldogasszony), oppure Grande Signora (Magna Domina – Nagyasszony) di cui abbiamo dati sin dall’XI secolo. La Leggenda del vescovo martire San Gerardo riferisce, infatti, che gli ungheresi per rispetto non pronunciavano mai il nome di Maria ma la chiamavano con lo stesso titolo onorifico utilizzato per la regina.

Maria come Patrona degli Ungheresi è stata originariamente venerata con la festa dell’Assunta, il 15 agosto, cui sono legate anche numerose tradizioni popolari. Santo Stefano dedicò alla Vergine Assunta la grande basilica collegiata che volle costruire nel centro del Regno, ad Alba Regale (Székeshehérvár), dove venne sepolto lui e poi i suoi successori fino alla metà del XVI secolo. I nuovi re d’Ungheria dovevano essere incoronati in questa stessa basilica. Santo Stefano morì il 15 agosto (nel 1038), festa dell’Assunta. La sua Leggenda riferisce che prima di morire consacrò il suo regno alla Madonna come regina dell’Ungheria.


La prima poesia di lingua ungherese che conosciamo (fine XIII secolo) è proprio un inno alla Madonna, del genere del Planctus Mariae (Ómagyar Mária-siralom). Uno dei primi canti mariani ungheresi (Angyaloknak nagyságos asszonya – Grande regina degli angeli) parla di Maria come „liberatrice dei morti, distruttrice dei turchi, consigliere dei re, difensore degli ungheresi” (di András Vásárhelyi, 1508).

Durante il periodo travagliato e tragico delle guerre turche, nei secoli XVI-XVII, si rafforzò l’idea di avere come unico rifugio la Madonna, Patrona dell’Ungheria. Tale devozione non si limitò al sentimento popolare ma trovò espressione anche in ambito statale. Le bandiere e le monete portavano l’effigie della Madonna. La riconquista del Paese dal dominio turco, per opera di una coalizione europea guidata dagli Asburgo, era segnata da un filo “mariano”. Si ricorda come il B. Innocenzo XI, che si prodigò dal punto di vista diplomatico e finanziario per questa causa, rilevò prima della riconquista di Buda (1686) come il nome stesso della capitale ungherese fosse una “profezia” mariana: “Beata Virgo Dabit Auxilium”.

L’imperatore Leopoldo I volle consacrare di nuovo il Paese alla Madonna, nel 1693. Proprio in quel periodo ebbe origine il santuario di Máriapócs nell’Ungheria occidentale. Ivi, nel 1696, l’icona della Madre di Dio di una chiesetta greco cattolica cominciò a versare lacrime. Il segno fu subito interpretato in connessione con le sorti del Paese e l’imperatore fece portare l’icona a Vienna. La vittoria di Zenta (11 settembre 1697), decisiva per la liberazione dell’Ungheria, arrivò dopo la solenne processione tenuta con l’icona di Máriapócs su consiglio del B. Marco d’Aviano a Vienna.

L’inno “Beata Regina, nostra Madre, nostra antica patrona” (BoldogasszonyAnyánk… - inizio XVIII secolo), di origine benedettina (Arciabbazia di Pannonhalma) riassume la tradizione ed il sentimento religioso ungherese formatosi durante i secoli XVI-XVII: la Vergine Maria, regina e patrona degli ungheresi viene supplicata affinché non si dimentichi dei suoi „orfani”. Tale inno divenne popolarissimo e funse dal “inno nazionale” ante litteram.

Il più famoso inno a S. Stefano (“Ah hol vagy magyarok…” – metà del XVIII secolo, rielaborato anche da Zoltán Kodály) parla dell’Ungheria come “giardino” della Madonna, curato da re Stefano. Il quale giardino, un tempo fiorente ora è invece abbandonato. L’unica speranza è che Maria, cui il Paese è stato affidato da S. Stefano, continui a essere fedele regina degli ungheresi.

Durante il XVIII secolo rifiorì la devozione mariana di stampo barocco in tutta l’Ungheria, chiamata con l’epiteto Regnum Marianum. La Patrona d’Ungheria veniva sempre più spesso raffigurata come la Donna vestita di sole, però con la Sacra Corona d’Ungheria sul capo.

Nel 1865 il sinodo diocesano di Strigonia (Esztergom) stabilì una preghiera da recitarsi in onore della Magna Domina Hungarorum nella messa delle feste mariane. Su richiesta della conferenza episcopale ungherese Leone XIII, nel 1896 (Millennio dell’Ungheria) concesse una festa liturgica propria alla Vergine Maria Magna Domina Hungarorum. Inizialmente celebrata la seconda domenica di ottobre, San Pio X nel 1910 la fissò all’8 ottobre. Dopo il Concilio Vaticano II ci fu il tentativo di farla confluire in quella del Nome di Maria (12 settembre), ma il Card. László Lékai Primate d’Ungheria volle conservarla come festa separata. In tale intento è stato confermato da San Giovanni Paolo II il quale consacrò la Cappella Magna Domina Hungarorum nelle Grotte Vaticane proprio l’8 ottobre del 1980.
 
Immagine della Patrona Hungariae, con la Corona di S. Stefano,
sulla facciata di Palazzo Falconieri a Roma,
realizzata dallo Studio del Mosaico Vaticano

Dall’omelia di San Giovanni Paolo II sulla Magna Domina Hungarorum
(Pécs, Ungheria, 17 agosto 1991)

Nella terra ungherese, nella vostra terra, la Chiesa ha sperimentato questa lotta; ne ha fatta l’esperienza nel corso della storia, ad esempio, col pericolo dei Turchi ottomani, ma l’ha sperimentata in modo particolare durante il nostro secolo. Come non ricordare le passate e recenti persecuzioni! Attaccata dagli eserciti ottomani, la società del “Regno Mariano” crollò: intere popolazioni vennero decimate, e d’improvviso diventò difficile poter vivere secondo i dettami del Vangelo.

Nell’ultimo quarantennio, poi, una ferrea organizzazione ha imposto alla Nazione una pseudo-cultura atea, volendo farne una forma di vita. E a queste forze esterne, scatenate contro la Donna e suo Figlio, si aggiungeva anche l’inclinazione al male, il germe dell’inimicizia verso il regno di Dio, che corrode lo spirito umano trascinando purtroppo anche i credenti verso il baratro dell’infedeltà e del peccato. Così, la lotta di cui parla l’Apocalisse si sviluppa soprattutto nel cuore dell’uomo: per questo è necessaria una sempre più radicale conversione.

Ma eccoci ora, dopo lunghi anni di sofferenza e di prove dinanzi a Colei che i vostri antenati hanno chiamato “Magna Domina Hungarorum”. A Lei rivolgiamo, come l’angelo a Nazaret, il nostro saluto: “Ti saluto, o Piena di grazia, il Signore è con te” (Lc1, 28). “Benedetta tu fra le donne” (Lc1, 42).

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