L’impegno dell’Ungheria per difendere i cristiani in Medio Oriente
Creato un Sottosegretariato di Stato che si occuperà dei cristiani
perseguitati: un modo per difendere la cristianità in Medio Oriente e per
affrontare la crisi dei rifugiati in Europa
L’Ungheria lancia
un ponte di solidarietà verso i cristiani perseguitati nel Medio Oriente. Il
Paese magiaro varca il muro di retorica piantato in Occidente e interviene in
modo concreto per aiutare i popoli vessati a non abbandonare la loro terra
patria.
Il primo ministro
Viktor Orbán, dopo l’incontro annuale dei legislatori cattolici, che si è
tenuto a Frascati a fine agosto, ha deciso di creare un Sottosegretariato di
Stato ungherese che si occuperà dei cristiani perseguitati. Il nuovo ufficio
sarà occupato da Tamas Torok. Destinata anche una cospicua cifra all’impegno di
aiutare i cristiani mediorientali.
Impegno che ha un
valore duplice. Da un lato difende la cristianità, di cui storicamente
l’Ungheria è cerniera in Europa, in luoghi dove essa oggi è minacciata;
dall’altro affronta la crisi migratoria risalendo alla sua radice. L’Ungheria
sostiene infatti che i popoli vadano possibilmente aiutati a vivere una vita
dignitosa, in pace e sicurezza, nella loro terra.
Obiettivo,
quest’ultimo, che raccoglie un principio enunciato nel 2013 da Benedetto XVI,
nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato: “Nel
contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare,
va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere
nella propria terra”.
Eduard Karl
Habsburg-Lothringen, Ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede, si è
concesso a ZENIT per un’intervista a proposito di questo impegno che si è
assunto il Governo del suo Paese.
***
Eccellenza,
concretamente quali sono le misure che il Governo ungherese vuole intraprendere
per assistere i cristiani perseguitati in Medio Oriente? Quante risorse
finanziarie sono state stanziate?
Il Governo
ungherese ritiene un dovere morale di aiutare, secondo le proprie possibilità,
quei gruppi, e soprattutto quelle minoranze religiose, che sono perseguitate
nel mondo. I cristiani, infatti, sono spesso doppiamente colpiti: dai
conflitti, e molte volte sono anche dalle discriminazioni. L’Ungheria
coltiva dei buoni rapporti con un numero di Paesi arabi e musulmani e, inoltre,
ha un vivo rapporto con diverse Chiese cristiane del Medio Oriente. Abbiamo,
per esempio, destinato circa 660mila euro, in parte offerti dai fedeli
ungheresi e integrati dal Governo, per sostenere la scolarizzazione dei
rifugiati in Medio Oriente. Provvedere all’istruzione di questa generazione di
bambini vuol dire contribuire al futuro non solo di quelle persone ma di tutta
la regione. C’era poi il caso dei copti cristiani uccisi nel 2015 in Libia
dall’Isis. Senza costruire grandi progetti di assistenza, abbiamo semplicemente
dato alle loro famiglie, rimaste senza sostegno, quello di cui dicevano di
avere avuto un’immediata necessità. Nel febbraio scorso, alla conferenza dei
donatori per la Siria, tenutasi a Londra, il Governo ungherese ha annunciato
l’impegno di 5milioni di euro per la costruzione un nuovo ospedale in Siria non
appena le circostanze lo renderanno possibile.
A quando risale
l’impegno dell’Ungheria su questo fronte?
Il Governo di
Viktor Orbán, in carica da sei anni, ha sempre cercato di dare una mano nel
bisogno anche se non in maniera vistosa. E non si tratta solo di aiuti di
Stato. Le varie organizzazioni caritative legate alle diverse Chiese ungheresi
hanno sin da subito contribuito a questo impegno sul campo, spesso tramite le
loro organizzazioni internazionali.
Nell’agosto scorso
il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, è stato in visita a Roma. C’è una
collaborazione con la Santa Sede a proposito di questa iniziativa?
L’iniziativa di
creare una propria struttura governativa per l’aiuto ai cristiani perseguitati
si è invero concretizzata dopo i recenti incontri romani del primo ministro
Viktor Orbán e del ministro delle Risorse Umane Zoltán Balog. Si è trattato di
incontri con un gruppo internazionale di parlamentari cattolici e, soprattutto,
con i capi delle diverse Chiese cristiane interessate. Certo la Santa Sede ha
tutta la nostra disponibilità per la collaborazione in questo campo.
Esiste anche una
qualche forma di collaborazione con organizzazioni impegnate sul tema
dell’assistenza ai cristiani perseguitati?
Il Governo
ungherese da anni collabora con varie organizzazioni caritative religiose in
Ungheria, come la Caritas Ungherese, l’Ordine di Malta, il servizio di soccorso
dei battisti ed una ecumenica. Lavoriamo con loro nel campo degli aiuti
umanitari perché sono motivate, affidabili e molto efficienti. Saremo in
ascolto degli interessati per capire come si potrebbe rispondere ai loro
bisogni.
L’opera di
assistenza umanitaria in Medio Oriente da parte dell’Ungheria è già iniziata?
Adesso si tratta di
rendere più coordinato, efficace, ma anche riconoscibile l’impegno
dell’Ungheria come Paese. Il nuovo ufficio governativo avrà inizialmente a
disposizione circa 3milioni di euro con cui realizzare dei programmi di
assistenza. Come dimostrato anche dall’eco mediatica di questa notizia, molti
lo vedono come un segno. Ed è vero che il Governo ungherese non teme di
dichiarare i principi che ispirano il suo impegno. Adesso speriamo che altri
Paesi vogliano seguire l’esempio.
Questa misura può
essere interpretata anche come parte di una strategia per affrontare la crisi
dei rifugiati in Europa?
Il Governo ungherese ha sempre detto che la soluzione alla crisi dei
migranti, sia in Europa, sia altrove, non è quella di “importare” i problemi in
Europa, ma di cercare di risolverli alla radice. E penso che questo sia proprio
ciò che Papa Francesco dice e cui dovremo prestare più attenzione: bisogna
cercare di eliminare le cause dei conflitti e delle sofferenze. Le persone, in
fondo, sognano di poter vivere in pace e tranquillità nella propria patria ed è
in questo che dovremmo cercare di aiutarli. Il problema in Europa adesso è
quello di non vedere oltre la crisi immediata dei migranti e di non considerare
le conseguenze a medio e lungo termine di determinate scelte. L’Ungheria da
sola non può certo risolvere la crisi, ma vuole dare il proprio contributo
fattivo e costruttivo.
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