40 anni fa, l’8 ottobre 1980, Papa San Giovanni Paolo II consacrò la nuova Cappella ungherese in Vaticano alla Vergine Maria in quanto Patrona e protettrice degli ungheresi. Da allora, la Cappella Magna Domina Hungarorum è divenuta un luogo sacro di grande valore spirituale per i pellegrini ungheresi e di tutta la comunità ungherese in Italia. Il giorno del quarantesimo anniversario della consacrazione, il Cardinale Péter Erdő, primate d’Ungheria e arcivescovo di Esztergom-Budapest, ha celebrato la Santa Messa per ringraziare il dono offerto alla comunità ungherese da Papa San Paolo VI e i quarant’anni passati in questo luogo sacro tanto significativo per tutta la comunità ungherese. Per motivi causati dalla pandemia, alla celebrazione hanno partecipato soltanto i rappresentanti della comunità ungherese di Roma, tra cui gli ambasciatori di Ungheria presso la Santa Sede e presso l’Italia, rispettivamente S.E. il Sig. Eduard Habsburg-Lothringen e S.E. il Sig. Zoltán Ádám Kovács, oltre i membri della stampa.
Di seguito pubblichiamo
l’omelia pronunciata dal Cardinale Péter Erdő alla Santa Messa.
Oggi
celebriamo la Beatissima Vergine come Patrona degli Ungheresi. Questa cappella è
stata dedicata a Lei proprio quaranta anni fa. La cerimonia è stata presieduta
da San Giovanni Paolo II. È stato un gesto indimenticabile, il compimento di un
vecchio desiderio degli ungheresi. La Cappella Ungherese ha una storia
millenaria. Essa, infatti, risale alla fondazione di Santo Stefano, primo re
ungherese che voleva istituire una casa per i pellegrini ungheresi proprio qui
nel centro della cristianità. La cappella in origine sorgeva vicino all’attuale
sagrestia di questa basilica ed è stata demolita per i lavori di costruzione di
quelle strutture barocche.
I cattolici
ungheresi erano consapevoli del fatto che Roma è patria di tutti e sognavano di
avere un luogo sacro proprio nella grande casa comune.
Era chiaro che
la Cappella Ungherese doveva essere dedicata alla Madonna come Patrona degli Ungheresi.
C’è stato però un “piccolo” problema. Dopo la battaglia di Mohács del 1526, l’Ungheria
perdette gradualmente la propria sovranità, anche se il popolo non ha
rinunciato mai dell’esistenza culturale e giuridica sovrana. Eppure la parte
centrale del Paese, che quasi coincideva con l’Ungheria attuale, appartenne per
cento cinquanta anni all’impero ottománo e perdette quasi i due terzi della sua
popolazione. I cattolici ungheresi conservavano la tradizione del grande gesto
di Santo Stefano, il quale ha offerto il suo Paese, recentemente convertito,
alla Madonna. La liberazione della città di Buda dall’occupazione turca nel
1686 e la vittoria nella battaglia di Zenta sono state attribuite all’intercessione
della Beata Vergine. Convintissimo di questo fatto miracoloso, l’imperatore e
re ungherese Leopoldo primo volle seguire l’esempio di Santo Stefano e dedicò l’Ungheria
alla Santissima Vergine nel 1693. Anche sulle monete del re Leopoldo apparve la
Madonna con l’iscrizione: “Sancta Immaculata Virgo Maria, Mater Dei Patrona
Hungariae”.
Nel Vangelo di oggi abbiamo sentito la sostanza del ruolo della Vergine Maria: il Signore è con Lei ed Ella è piena di grazia. Dio l’ha scelta e ha fatto sì, che sia esente dal peccato originale perché voleva realizzare con lei un grande progetto, ovvero voleva renderLa madre del Salvatore. Colui che è con il Signore, è pieno di grazia. La felicità, la vocazione è lo scopo dell’essere umano che si realizza nella vicinanza di Dio. Oggi, alcuni dicono che la Chiesa, le parrocchie, i gruppi di cattolici devono essere delle comunità felici. Questo non significa che esse sono comunità per sentirsi bene, per divertirsi solo, perché lo scopo della Chiesa non è che i suoi membri si sentano bene insieme in questa terra, bensì la missione, cioè l’annuncio del Vangelo di Cristo. Come scrisse San Paolo sesto, la Chiesa esiste per l’annuncio del Vangelo. Il nucleo di questo Vangelo è che Cristo è risorto ed ha aperto la via dell’eterna felicità per coloro che si convertono e credono in Lui.
Alla luce di questa Buona Novella dobbiamo ripensare che cosa significa per noi essere popolo di Maria. Nella nostra cultura ungherese è presente l’eredità cattolica. E tale eredità significa fiducia nella Divina Provvidenza e nell’avvenire, e anche l’apprezzamento e l’accettazione della nostra identità nazionale, ma pure l’apertura del nostro cuore verso tutti gli altri popoli. Tutto ciò costituisce un fatto che dobbiamo riconoscere e anche approfondire, perché il nostro cattolicesimo non è soltanto un fatto culturale, bensì una convinzione personale per tutta la vita. La costruzione di questa cappella quaranta anni fa e la sua benedizione pontificia dimostrava il fatto che la Chiesa romana accoglie anche noi, ci rispetta come comunità e ci unisce con gli altri popoli nella fede di Cristo. Qui a Roma, ma soprattutto in questa Basilica, ci sono anche altre cappelle nazionali dedicate alla Madonna. Questo è un bel segno del fatto che i cattolici di diversi popoli, anche come comunità, considerano la Vergine come la loro Madre. Ma se abbiamo una madre comune, allora anche per questo siamo fratelli.
Maria, Madre di tutti noi, non ha avuto paura di seguire il Suo Santo Figlio sulla via della croce fino al Calvario. Chiediamo la Sua intercessione perché possiamo professare Cristo con coraggio anche noi perché Egli è la verità, il Redentore dell’uomo e la luce dei popoli.