“Il passato, il presente e il futuro della minoranza
cristiana in Giordania” – è stato il titolo della conferenza tenuta da Mons.
William Hanna Shomali, vicario patriarcale per la Giordania, all’Università
Cattolica Péter Pázmány di Budapest, il 18 gennaio. All’undicesimo incontro
dedicato alla persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, l’On. Bence Rétvári,
segretario di stato del Ministero delle Risorse Umane, nel suo saluto ha
ricordato che il Governo ungherese ha creato l’ufficio per il sostegno dei
cristiani perseguitati perché
intende essere “un campanello d’allarme” in un’epoca di migrazioni
massicce, quando l’Europa sembra di aver abbandonato la propria identità. Secondo
il Governo ungherese i problemi delle migrazioni vanno risolti prima di tutto in loco.
Mons. William Hanna Shomali all’Università Cattolica Péter Pázmány (foto: Magyar Kurír) |
Il vescovo William Shomali, ha ringraziato sia il Governo ungherese sia l’Università
Cattolica per la loro attenzione nei confronti dei cristiani nel mondo arabo. I
cristiani della Giordania sono discendenti dei primi cristiani e il paese
stesso, che fa parte della Terra Santa, prende il suo nome dal fiume Giordano
in cui San Giovanni Battista battezzò Gesù.
Oggi sono 14 milioni i cristiani nel Medio Oriente di cui
10 milioni sono i copti egiziani. Nel 1918 i cristiani erano il 14% della popolazione mentre
oggi sono il 4,5%. In
Giordania nel 1918 erano il 10%
della popolazione, oggi invece soltanto il 2%. La Giordania ha una
popolazione di 10 milioni di persone di cui il 98% sono i sunniti e 200 mila i cristiani. La
metà fa parte della Chiesa di rito bizantino, il 40% della Chiesa cattolica latina e i restanti
10% sono maroniti, caldei ecc. – ha spiegato il presule.
La comunità cristiana di Giordania è la meno conosciuta
in Oriente, la loro situazione è pacifica, non sono perseguitati e non sono in
pericolo di vita. Sono ben integrati nella società musulmana e, sia il governo
che la famiglia reale, li rispetta. Per fare un esempio, a Natale il comune di Amman, ha regalato
l’albero ad ogni chiesa cristiana della città e il vescovo Shomali ha
incontrato i membri della famiglia reale. Sia nel parlamento giordano che tra i
membri del governo ci sono
dei cristiani.
Il vescovo Shomali, dopo i fatti positivi, ha voluto costatare alcuni lati problematici
riguardanti i cristiani in Giordania. Uno di essi è la questione di coscienza
che non va confusa con la questione della libertà religiosa, che è garantita. Le leggi
stabiliscono che in Giordania i cristiani non possono sposare ragazze musulmane,
mentre per i musulmani non ci sono queste restrizioni ma, in questo caso, la
parte cristiana si deve convertire all’Islam. Inoltre, tra i libri scolastici, troviamo
quelli in cui manca il
fatto storico che i cristiani ci vivono sin dal primo secolo, suggerendo che
invece fossero arrivati solo nel settimo secolo. Manca dal programma educativo, inoltre,
l’educazione religiosa.
Quale futuro attende i cristiani del mondo arabo? – ha
chiesto Mons. Shomali. Per rispondere a questa domanda è fondamentale rilevare
l’importanza della fede. I cristiani devono crederci che restare nella loro
terra nativa è una missione affidatagli da Dio, nonostante la tentazione di
abbandonarla sia grande. Per fare un esempio: in Palestina ci vivono 50 mila
cristiani, mentre a Santiago de Chile ce ne sono 350 mila cristiani immigrati
da Betlemme. Il presule ha affermato che la divisone dei cristiani nel mondo
arabo sia una vera catastrofe. È assolutamente fondamentale, inoltre, il
dialogo dei cristiani con i musulmani. La maggior parte dei musulmani è moderata, e la collaborazione
tra cristiani e musulmani è indispensabile per un mondo più pacifico e
vivibile. I paesi dell’Unione Europea devono aiutare economicamente la
ricostruzione della regione. Infine Mons. Shomali ha voluto ringraziare il governo ungherese per le
400 borse di studio che mette a disposizione ogni anno per gli studenti giordani.
Alla conferenza è intervenuto anche Wael Suleiman,
direttore della Caritas di Giordania, affermando l’importanza della fede che dà
coraggio alle persone, infatti, “non si può perdere la speranza di un futuro
migliore” – ha detto. Nel paese ci sono 140 mila rifugiati iracheni, nella
maggior parte sono cristiani, che hanno paura di ritornare a casa. Bisogna
ridare dignità a queste persone e lavorare per il loro ritorno nei paesi d’origine
dove dovranno costruire un mondo migliore.
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