È stato pubblicato sul quotidiano “Magyar Idők”, prima di
Natale, l’articolo del primo Ministro d’Ungheria Viktor Orbán dal titolo “Dobbiamo
difendere la cultura cristiana”. Sul sito del Governo ungherese è consultabile in
traduzione inglese, mentre qui ne offriamo un estratto in italiano.
* * *
Dobbiamo difendere la cultura cristiana
di Viktor Orbán
Noi, europei viviamo, che
lo ammettiamo o meno, in modo cosciente o meno, in una civiltà ordinata secondo
gli insegnamenti di Cristo. Vorrei citare la nota sentenza del fu József
Antall, già primo ministro d’Ungheria: in Europa persino l’ateista è cristiano.
(…)
Nel Vangelo secondo Marco
il secondo comandamento di Cristo suona così: “Ama il tuo prossimo come te
stesso”. Sono in molti a citare oggi in Europa questo comandamento di Cristo. E
vogliono rinfacciarci che nonostante ci confessassimo cristiani non vogliamo e
non permettiamo l’insediamento in Europa di milioni di persone provenienti da
altri continenti.
Dimenticano però l’altra
parte del comandamento, eppure questo insegnamento è composto di due parti:
dobbiamo amare il prossimo ma dobbiamo amare pure noi stessi. Amare noi stessi
vuol dire anche di accettare e difendere tutto ciò che noi siamo. Amare noi
stessi vuol dire di amare la nostra patria, la nostra nazione, la nostra
famiglia, la cultura ungherese e la civiltà europea. È in questo contesto che
la nostra libertà, la libertà ungherese si è sviluppata e potrà svilupparsi
ancora. (…)
Quando fissiamo i limiti
della nostra identità indichiamo nella cultura cristiana la fonte del nostro
orgoglio e la forza che ci sostiene. Il cristianesimo è cultura e civiltà.
Viviamo in esso. Non si tratta del fatto quanti ci vadano in chiesa o quanti
preghino in modo sincero. La cultura è una realtà quotidiana: come parliamo,
come ci comportiamo tra di noi, quanta distanza manteniamo o quanto ci
avviciniamo tra di noi, come entriamo e come lasciamo questo mondo. Per gli
europei è la cultura cristiana a determinare la morale quotidiana. In
situazioni limite è questa che ci fornisce metro di valutazione e direzione. È la
cultura cristiana a guidarci tra le contraddizioni della vita, a determinare il
nostro modo di pensare sulla giustizia e sull’ingiustizia, sul rapporto tra
uomo e donna, sulla famiglia, sul successo, sul lavoro e sull’onore.
La nostra cultura è la cultura della
vita. Il nostro punto di partenza, l’alfa e l’omega della nostra filosofia di
vita è il valore della vita, la dignità di ogni persona ricevuta da Dio. Senza ciò
non saremmo in grado di apprezzare neanche i “diritti dell’uomo” e altri simili
concetti moderni. È per questo che ci chiediamo se quest’ultimi siano
esportabili nella vita di altre civiltà, costruite su diversi pilastri.
Le fondamenta della vita europea ora
sono sotto attacco. (…) Non vogliamo che i nostri mercatini di Natale debbano
cambiare nome, e ancor di meno vogliamo ritirarci dietro a dei blocchi di
cemento. Non vogliamo che i nostri figli siano privati dalla gioia dell’aspettare
San Nicola e gli angeli. Non vogliamo che ci tolgano la festa della
Risurrezione. Non vogliamo che le nostre solenni celebrazioni religiose siano accompagnate
da preoccupazione e paura. Non vogliamo che nella folla festosa di Capodanno le
nostre donne, le nostre figlie siano molestate.
Noi europei siamo cristiani. Tutto ciò
è nostro, è così che viviamo. per noi finora è stato naturale che Gesù nasce,
muore per noi sulla croce e poi risorge. Le nostre feste sono per noi ovvie e
ci aspettiamo da esse che diano un senso al quotidiano. La cultura somiglia al
sistema immunitario del corpo umano: finché funziona non ci si accorge neanche.
Ci si accorge e diventa importante quando esso s’indebolisce. Quando le croci vengono
cancellate, quando dalla statua di papa Giovanni Paolo II vogliono togliere la
croce, quando vogliono che cambiassimo il nostro modo di celebrare le nostre
feste allora i cittadini europei perbene se la prendono. Persino quelli il cui
cristianesimo, per dirlo con il poeta Gyula Juhász, è “un paganesimo all’acqua
santa”. Ma anche quanti, come Oriana Fallaci, si preoccupano per l’Europa da “atei
cristiani”.
In questo momento ad essere sotto
attacco sono le fondamenta della nostra vita, del nostro mondo. Il sistema
immunitario dell’Europa viene coscientemente indebolita. Vorrebbero che non fossimo
più quelli che siamo. Vorrebbero che diventassimo ciò che non vorremmo essere. Vorrebbero
che ci mescolassimo con popoli venuti da altri continenti e, per rendere meno
problematico il processo, a cambiare dovremmo essere noi. Al lume delle candele
del Natale si vede benissimo che attaccando la cultura cristiana intenderebbero
anche distruggere l’Europa. Vorrebbero toglierci il nostro modo di vivere e
vorrebbero farcelo cambiare con qualcosa che non è il nostro. (…)
Non possiamo certo affermare che la
cultura cristiana sia la più perfetta. Ma la chiave della cultura cristiana è proprio
questa: siamo coscienti dell’imperfezione, pure della nostra propria
imperfezione, ma abbiamo imparato a conviverci, a trarne ispirazione e forza. È
per questo che noi europei ci sforziamo da secoli a migliorare il mondo. Il
dono dell’imperfezione consiste proprio nella possibilità di migliorare. È anche
questa possibilità che ci vorrebbero togliere quanti, con la promessa di un bel
mondo nuovo mescolato vorrebbero distruggere ciò che i nostri avi hanno difeso,
se necessario, col proprio sangue, e che proprio per questo noi abbiamo il
dovere di tramandare come eredità. (…)
L’anno 2017 ha posto una sfida
storica ai paesi europei. Le nazioni europee libere, i governi nazionali eletti
da cittadini liberi hanno ora un nuovo compito: devono difendere la cultura
cristiana. Non tanto contro qualcun’atro, ma piuttosto in difesa di noi stessi,
delle nostre famiglie, delle nostre nazioni, dei nostri paesi e di un’Europa “patria
delle patrie”.
(traduzione
da: Magyar Idők, 23 dicembre 2017)
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