Pubblichiamo la traduzione italiana
del messaggio natalizio del cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di
Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria.
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Il Card. Erdő nella S. Messa della notte di Natale nella Basilica di S. Stefano a Budapest (foto: Magyar Kurír) |
Dice di re Salomone il Libro della Sapienza: “E fui allevato in fasce e
circondato di cure; nessun re iniziò in modo diverso l'esistenza.” (Sapienza,
7,4-5). Ben due volte vengono menzionate le fasce nel brano del Vangelo della
notte di Natale. Maria avvolge in fasce il suo figlio primogenito e lo depone in
una mangiatoia (Lc, 2,7), mentre l’angelo annuncia ai pastori la gioia del
Natale e gli dà un segno: “troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in
una mangiatoia” (Lc 2,12). La Seconda Persona Divina incarnata inizia quindi la
sua vita terrena come ogni uomo, povero o ricco, senzatetto o re, semplice o
saggio come Salomone che successe a Davide sul trono. Il messaggio di questa
parola è spiegata così bene dal canto natalizio che riecheggia nelle nostre
chiese: “è debole il tuo corpicino, eppure / tuoi saranno terra e cielo”.
L’uomo nasce assai debole. I neonati hanno freddo, trovano freddo il mondo
in cui sono nati. E non resterebbero in vita se non fossero presi in braccio,
non fossero nutriti, non fossero riscaldati. Non inizierebbero poi a parlare se
non fossero circondati dal mondo degli uomini. Non saprebbero essere contenti,
amare, ascoltare l’altro o realizzare dei grandi obiettivi se non sperimentassero
quella comunità dell’amore primordiale che l’uomo deve ricevere prima di tutto
dai propri genitori, dalla propria famiglia. La realizzazione più splendente di
questo amore primordiale, di questa prima comunità è la festa del Natale, la
sicurezza della propria casa e della propria famiglia. È questo che continua a
vivere nell’intimo dei nostri ricordi. È a questo che aneliamo col passare dei
decenni, e qui che vorremmo ritornare quando festeggiamo il Natale con una
famiglia, da parenti anziani o da amici. Ed è a questo amore che vorremmo
tornare quando ci congediamo dalla vita terrena. Sin dalla mia ordinazione
sacerdotale ho potuto accompagnare diverse persone morenti negli ultimi istanti
della loro vita. E il loro desiderio, anelito cosciente o inconsapevole, il
loro quasi ultimo sforzo era sempre quello di comunicare qualcosa, di mettersi
in contatto. Non a caso è considerata sacra l’ultima volontà, l’ultimo
desiderio della persona.
A Natale Dio si rivela a noi, facendoci entrare anche nel mistero della
nostra umanità. L’uomo, infatti, è un essere la cui vita inizia dall’amore e
tende all’amore. Tale è la nostra vocazione, siamo fatti così. Abbiamo bisogno
di cure, poi la nostra vita si sviluppa, fiorisce, affinché anche noi potessimo
prenderci cura degli altri e potessimo arricchirli. E per poter, infine, arrivare
dall’amore umano all’amore del Creatore stesso, tornando alla casa del Padre.
L’intimità del Natale è luce per noi, come dice il vangelo di Giovanni: veniva
nel mondo la luce vera (Gv 1,9). Dall’amore di ciascuna persona e dalla comunità
d’amore, come da un insieme vivente, Dio ci guarda sorridendo, aspettandoci con
magnanime generosità. Il suo primo dono per noi è la nostra vita stessa, la dignità
di essere uomini. Il fatto che ci chiama per nome, che ci dà una meta e ci
invita ad aver parte della sua stessa vita, ci invita a quel banchetto di cui
ci parla Gesù. Infatti, come si potrebbe meglio spiegare a noi uomini, bisognosi
di cibo e di bevanda, di aver ricevuto l’invito ad un convivio grandioso e
felice nella casa del Padre? Il suo secondo dono sarà questo banchetto, il
grande e incontro ultimo che prenderà il suo inizio con la seconda venuta di Cristo.
È questo banchetto che pregustiamo in ogni Santa Messa, in ogni Santa Comunione,
e ogni volta che ci inginocchiamo adoranti davanti al Santissimo Sacramento.
Poiché la Seconda Persona Divina per noi ha svuotato sé stesso, è divenuto uomo,
anzi cibo, pane e vino: tanto anela il nostro amore.
Il Natale ci irradia questa prospettiva, di cui l’allungarsi del giorno e l’accorciarsi
della notte costituisce un umile segno. La festa del Natale lascia intravedere
questa prospettiva che si apre oltre il mondo creato. Di questa luce è umile
segno la candela che accendiamo davanti al presepe, nascosto sotto l’albero di
Natale.
Preparandoci al Congresso Eucaristico Internazionale celebriamo questo
Natale con gratitudine e con amore reciproco. Con rinnovata letizia, fiducia, avendo
chiaro l’obiettivo davanti a noi: infatti Dio è già ora e inseparabilmente con
noi.
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