sabato 17 novembre 2018

Saluto dell’Ambasciatore d’Ungheria al Convegno “Santa Sede e Cattolici nel mondo postbellico (1918-1922)”


Si è svolta presso l'Accademia d'Ungheria in Roma la terza giornata del Convegno Internazionale di Studi “Santa Sede e Cattolici nel mondo postbellico (1918-1922)”, con la partecipazione di numerosi studiosi da diverse istituzioni e paesi. All’inizio delle sessioni del 16 novembre l’Ambasciatore d’Ungheria presso la S. Sede, Eduard Habsburg-Lothringen ha pronunciato un indirizzo di saluto del quale pubblichiamo il testo.


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Le odierne sessioni del Convegno ospitate qui, a Palazzo Falconieri, costituiscono un’ulteriore tappa significativa della buona collaborazione tra il Pontificio Comitato di Scienze Storiche e l’Accademia d’Ungheria in Roma, nonché l’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede. Una collaborazione che ha visto, tra l’altro, alcune sessioni del precedente Convegno, intitolato “Inutile Strage. I cattolici e la Santa Sede nella Prima Guerra Mondiale”, anch’esse ospitate tra queste mura nel 2014.


Come Padre Bernard Ardura, Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche ha evidenziato all’inaugurazione di questo convegno, le conseguenze della Prima Guerra Mondiale sono tuttora presenti sullo scenario europeo e medio orientale. Potremmo dire che la stessa Accademia d’Ungheria ne è testimonianza concreta, in quanto fondata, nel 1927, nell’ambito di quell’ambiziosa politica culturale che intendeva rafforzare la nazione ungherese. I responsabili di allora furono convinti, infatti, della necessità di una rinascita culturale e spirituale, in seguito alle sofferenze subite sia nella Grande Guerra che nel dopoguerra. Ne conoscete la storia a grandi linee.


Ciò che mi sembra utile rammentare in questa sede è, che dopo le grandi tragedie storiche il popolo ungherese si è sempre proposto un tale rinnovamento culturale e spirituale. Così fu dopo la fine delle guerre turche, nel XVIII secolo, così fu dopo il Trattato del Trianon del 1920 che segnò la separazione dall’Ungheria di un terzo degli ungheresi, e così è stato dopo il cambiamento di regime, alla caduta del comunismo. La Legge Fondamentale ungherese del 2011 allude proprio a questo nell’enunciare [cito]: “in seguito ai decenni del XX secolo che hanno portato ad una decadenza morale abbiamo inevitabilmente bisogno di un rinnovamento spirituale e intellettuale” (cfr. Legge Fondamentale dell’Ungheria, Preambolo).


Ogni volta il cristianesimo è stato protagonista del rinnovamento ungherese. Basta considerare che il Congresso Eucaristico Internazionale di Budapest, del 1938, fu anche frutto di tale processo. Così pure varrebbe la pena di ricordare che i partiti della minoranza ungherese della Romania e della Cecoslovacchia tra le due guerre furono di una dichiarata ispirazione cristiano-sociale. Fu in Romania che, rientrando dal fronte isontino Áron Márton scelse la via del sacerdozio che poi, proprio 80 anni fa, lo portò a guidare la Diocesi romano cattolica di Gyulafehérvár/Alba Iulia, divenendone un pastore intrepido. Nella Slovacchia, invece, fu il politico ungherese János Esterházy, promotore della fratellanza delle nazioni centro-europee, ad offrire una testimonianza di fede, che lo portò a salvare i perseguitati durante la Seconda Guerra Mondiale e, in seguito, a morire nelle prigioni comuniste. Un aspetto altrettanto interessante è il ruolo svolto nella vita della minoranza ungherese della Transilvania dal Consiglio Interconfessionale, costituita dai capi delle Chiese cattolica, calvinista e unitariana per gestire le loro scuole che furono prevalentemente di lingua ungherese.


All’inaugurazione di questo convegno Sua Eminenza il Cardinale Parolin ha già affermato che le varie situazioni del primo dopoguerra furono accettati dalla Santa Sede “con perplessità e critica, quando la pace rimaneva sulla carta anziché nei cuori degli uomini e le esigenze della carità cristiana non erano soddisfatte”. Mi preme pure rievocare quanto Papa Francesco ha detto al Corpo Diplomatico, nel gennaio scorso, circa i due moniti che da esso possono essere tratti. Una pace duratura si consolida solo quando le nazioni possono confrontarsi a parità di condizioni e se essa è basata su una mentalità che non intenda la vittoria come un’umiliazione del nemico sconfitto.


Infatti, per valutare il peso, anche psicologico, delle conseguenze, tuttora presenti, della fine della Grande Guerra basta ricordare che in Ungheria ci sono voluti ben 90 anni perché il Parlamento adottasse, sotto la forma di legge, la nuova posizione ufficiale circa il significato del Trattato del Trianon. La Legge N. XLV del 2010 dichiara che la soluzione delle questioni poste da tale situazione, di cui non si negano neanche le nostre stesse responsabilità, vanno risolte tramite la collaborazione, basata sul rispetto reciproco, tra paesi democratici e sovrani, che assicurino ai propri cittadini e alle loro comunità benessere, certezza del diritto e uguaglianza di diritti, partendo dal presupposto della libertà di ciascuno di scegliere la propria identità.


È quanto il Primo Ministro Viktor Orbán ha riassunto di recente, in modo più pratico, nell’affermare di voler convincere i nostri vicini che unendo i nostri sforzi potremmo fare del Bacino dei Carpazi un’unica area economica, commerciale e logistica, sicura e di rapido sviluppo. Da parte nostra abbiamo dimostrato in diverse occasioni che non bisogna avere paura degli ungheresi e, anzi, abbiamo tutto da guadagnare dalla collaborazione reciproca (cfr. Discorso al Parlamento, 10 maggio 2018). Si tratta di un messaggio che, mutatis mutandis, penso possa risultare valido per molte altre situazioni dell’Europa odierna.


Un sentito ringraziamento al Pontificio Comitato di Scienze Storiche e, in particolare, Padre Bernard Ardura per questa bella possibilità di cooperazione.

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