Si è svolta
presso l'Accademia d'Ungheria in Roma la terza giornata del Convegno
Internazionale di Studi “Santa Sede e Cattolici nel mondo postbellico
(1918-1922)”, con la partecipazione di numerosi studiosi da diverse istituzioni
e paesi. All’inizio delle sessioni del 16 novembre l’Ambasciatore d’Ungheria
presso la S. Sede, Eduard Habsburg-Lothringen ha pronunciato un indirizzo di
saluto del quale pubblichiamo il testo.
* * *
Le odierne sessioni del Convegno ospitate qui, a Palazzo
Falconieri, costituiscono un’ulteriore tappa significativa della buona collaborazione
tra il Pontificio Comitato di Scienze Storiche e l’Accademia d’Ungheria in
Roma, nonché l’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede. Una collaborazione
che ha visto, tra l’altro, alcune sessioni del precedente Convegno, intitolato
“Inutile Strage. I cattolici e la Santa Sede nella Prima Guerra Mondiale”,
anch’esse ospitate tra queste mura nel 2014.
Come Padre Bernard Ardura, Presidente del Pontificio
Comitato di Scienze Storiche ha evidenziato all’inaugurazione di questo
convegno, le conseguenze della Prima Guerra Mondiale sono tuttora presenti
sullo scenario europeo e medio orientale. Potremmo dire che la stessa Accademia
d’Ungheria ne è testimonianza concreta, in quanto fondata, nel 1927,
nell’ambito di quell’ambiziosa politica culturale che intendeva rafforzare la
nazione ungherese. I responsabili di allora furono convinti, infatti, della
necessità di una rinascita culturale e spirituale, in seguito alle sofferenze
subite sia nella Grande Guerra che nel dopoguerra. Ne conoscete la storia a
grandi linee.
Ciò che mi sembra utile rammentare in questa sede è, che
dopo le grandi tragedie storiche il popolo ungherese si è sempre proposto un
tale rinnovamento culturale e spirituale. Così fu dopo la fine delle guerre
turche, nel XVIII secolo, così fu dopo il Trattato del Trianon del 1920 che
segnò la separazione dall’Ungheria di un terzo degli ungheresi, e così è stato dopo
il cambiamento di regime, alla caduta del comunismo. La Legge Fondamentale
ungherese del 2011 allude proprio a questo nell’enunciare [cito]: “in seguito ai decenni del XX secolo che hanno portato ad
una decadenza morale abbiamo inevitabilmente bisogno di un rinnovamento
spirituale e intellettuale” (cfr. Legge
Fondamentale dell’Ungheria, Preambolo).
Ogni volta il cristianesimo è stato protagonista del
rinnovamento ungherese. Basta considerare che il Congresso Eucaristico
Internazionale di Budapest, del 1938, fu anche frutto di tale processo. Così
pure varrebbe la pena di ricordare che i partiti della minoranza ungherese
della Romania e della Cecoslovacchia tra le due guerre furono di una dichiarata
ispirazione cristiano-sociale. Fu in Romania che, rientrando dal fronte
isontino Áron Márton scelse la via del sacerdozio che poi, proprio 80 anni fa,
lo portò a guidare la Diocesi romano cattolica di Gyulafehérvár/Alba Iulia,
divenendone un pastore intrepido. Nella Slovacchia, invece, fu il politico
ungherese János Esterházy, promotore della fratellanza delle nazioni
centro-europee, ad offrire una testimonianza di fede, che lo portò a salvare i
perseguitati durante la Seconda Guerra Mondiale e, in seguito, a morire nelle
prigioni comuniste. Un aspetto altrettanto interessante è il ruolo svolto nella
vita della minoranza ungherese della Transilvania dal Consiglio
Interconfessionale, costituita dai capi delle Chiese cattolica, calvinista e
unitariana per gestire le loro scuole che furono prevalentemente di lingua ungherese.
All’inaugurazione di questo convegno Sua Eminenza il
Cardinale Parolin ha già affermato che le varie situazioni del primo dopoguerra
furono accettati dalla Santa Sede “con perplessità e critica, quando la pace
rimaneva sulla carta anziché nei cuori degli uomini e le esigenze della carità
cristiana non erano soddisfatte”. Mi preme pure rievocare quanto Papa Francesco
ha detto al Corpo Diplomatico, nel gennaio scorso, circa i due moniti che da
esso possono essere tratti. Una pace duratura si consolida solo quando le
nazioni possono confrontarsi a parità di condizioni e se essa è basata su una
mentalità che non intenda la vittoria come un’umiliazione del nemico sconfitto.
Infatti, per valutare il peso, anche psicologico, delle
conseguenze, tuttora presenti, della fine della Grande Guerra basta ricordare
che in Ungheria ci sono voluti ben 90 anni perché il Parlamento adottasse,
sotto la forma di legge, la nuova posizione ufficiale circa il significato del
Trattato del Trianon. La Legge N. XLV del 2010 dichiara che la soluzione delle
questioni poste da tale situazione, di cui non si negano neanche le nostre
stesse responsabilità, vanno risolte tramite la collaborazione, basata sul
rispetto reciproco, tra paesi democratici e sovrani, che assicurino ai propri
cittadini e alle loro comunità benessere, certezza del diritto e uguaglianza di
diritti, partendo dal presupposto della libertà di ciascuno di scegliere la
propria identità.
È quanto il Primo Ministro Viktor Orbán ha riassunto di
recente, in modo più pratico, nell’affermare di voler convincere i nostri
vicini che unendo i nostri sforzi potremmo fare del Bacino dei Carpazi un’unica
area economica, commerciale e logistica, sicura e di rapido sviluppo. Da parte
nostra abbiamo dimostrato in diverse occasioni che non bisogna avere paura
degli ungheresi e, anzi, abbiamo tutto da guadagnare dalla collaborazione
reciproca (cfr. Discorso al Parlamento,
10 maggio 2018). Si tratta di un messaggio che, mutatis mutandis, penso possa risultare valido per molte altre
situazioni dell’Europa odierna.
Un sentito ringraziamento al Pontificio Comitato di
Scienze Storiche e, in particolare, Padre Bernard Ardura per questa bella possibilità
di cooperazione.