Si è svolta venerdì 19 ottobre 2018 presso il
Seminario Patriarcale di Venezia, sede della Facoltà di Diritto Canonico San Pio X, la giornata di studio dal
titolo “La fine della Grande Guerra e la
Chiesa nella Mitteleuropa. Aspetti politici, istituzionali, pastorali”. L’evento,
organizzato in collaborazione con l’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede
ed il Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese, ha esaminato gli effetti
della fine del primo conflitto mondiale sulla vita della Chiesa cattolica nell’Europa
Centrale. Uno dei meriti dell’iniziativa è stato quello di riunire studiosi dai
diversi Paesi della regione per condividere i risultati delle proprie ricerche.
La prima sessione è stata guidata da P. Bernard Ardura O.Praem, Presidente del
Pontificio Comitato di Scienze Storiche che nella sua introduzione ha
rilevato come la fine della Grande Guerra, cent’anni fa, sia “una storia di cui
viviamo l’attualità drammatica”, basti pensare al Medio Oriente la cui
sistemazione risale pure a quell’epoca.
Prima dei casi specifici dei singoli paesi, quattro
relazioni di carattere generale hanno illustrato il contesto in cui la Chiesa si
è venuta a trovare nel primo dopoguerra. Il Prof. Giuliano Brugnotto, Preside della Facoltà di Diritto Canonico San
Pio X, ha spiegato come il primo processo di codificazione canonica sia
stato promosso da Papa Pio X per rafforzare la difesa della libertà della
Chiesa. Tale processo, culminato nel Codice di Diritto Canonico del 1917, ha
dotato la Chiesa di uno strumento efficace per promuovere una riforma pastorale
e per reimpostare il rapporto con gli stati moderni, rafforzando l’autorità
pontificia e creando le premesse per i nuovi concordati che sono stati
sviluppati proprio a partire dal dopoguerra.
Il Prof. Gianpaolo Romanato, dell’Università degli Studi di Padova, membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche ha illustrato le problematiche generali del dopoguerra che, tra nuovi confini, rivoluzioni e conflitti che hanno disintegrato quella Mitteleuropa “che ci è cara anche perché fu l’epicentro di una irripetibile stagione culturale nel campo dell’arte, della letteratura, della scienza, dell’architettura, della medicina”. Dalla distruzione dell’Impero Austro-Ungarico, maturata nell’ultimo anno di guerra, derivò “una ricostruzione della carta geografica dell’Est Europa artificiale e arbitraria, che non accontentò nessuno e pose le premesse non solo di nuovi conflitti, ma di instabilità, di rancori e di volontà di rivalsa che sono giunti sino ai nostri giorni”, anche perché “seminò dovunque minoranze nazionali allogene destinate ad alimentare ogni genere di rancori e di tensioni”.
La Santa Sede, a sua volta, dovette confrontarsi
con la difficoltà di “essere a capo di un’organizzazione mondiale composta da fedeli,
sacerdoti, religiosi, vescovi, ciascuno dei quali è uomo di Chiesa ma anche
cittadino del proprio Stato e vive quasi una sorta di doppia cittadinanza”. Ma ciò
creò anche le premesse per superare tali difficoltà, attraverso una
riaffermazione dell’autorità pontificia nei confronti dell’autorità statale:
archiviando il “colonialismo missionario” e cercando di recuperare gli antichi
diritti “in sacris” storicamente concessi
agli Stati. “Gli eventi bellici e post-bellici innescarono, insomma, un
profondo cambiamento tanto nella Chiesa di Roma quanto nella sua percezione da
parte dei governi”, ma molte delle questioni poste allora “in parte ancora ci
condizionano”. (Per un riassunto della relazione v. L’Osservatore Romano.)
Dott. J. Ickx, Prof. G. Romanato, P. B. Ardura, Prof. G. Brugnotto, Prof. A. Szuromi |
Il Dott.
Johan Ickx, responsabile dell’Archivio Storico della Sezione per i Rapporti con
gli Stati della Segreteria di Stato ha presentato lo sviluppo degli accordi
che la Santa Sede ha concluso con i vari governi dell’Europa Centrale ed
Orientale (16 paesi in 15 anni). È emerso, inoltre, il ruolo importante che
Eugenio Pacelli, nelle sue varie funzioni, ebbe in questo processo per tutto il
periodo interbellico.
Il Prof.
Anzelm Szuromi O.Praem, Rettore dell’Università Cattolica “Péter Pázmány”
di Budapest ha ricordato il ruolo di Benedetto XV nella ricerca della pace,
motivata anche dalla consapevolezza che la sopravvivenza della Monarchia
Austro-Ungarica, come ultima grande potenza cattolica, sarebbe stata nell’interesse
della Chiesa.
Il Prof. András
Fejérdy, dell’Accademia Ungherese delle Scienze e dell’Università Cattolica “Péter
Pázmány” ha presentato le problematiche emerse per la Chiesa in Ungheria.
Il ridisegnamento dei confini statali ha toccato anche quelli diocesani creando
delle situazioni da risolvere sia dal punto di vista giuridico che pastorale.
Diverse diocesi hanno visto, infatti, le loro sedi tagliate dal resto del
proprio territorio da frontiere non facilmente valicabili. Anzi, i governi dei
nuovi Stati pretesero in molti casi la sostituzione dei vescovi e l’adeguamento
dei territori diocesani ai nuovi confini. In diversi casi i nuovi governi
nazionali (specialmente in Cecoslovacchia e Romania) si sono rivelati avversi
alla Chiesa cattolica per cui, in molti casi, gli interessi della Santa Sede risultarono
più vicini a quelli dell’Ungheria.
Il Prof.
Luboslav Hromjak dell’Università Cattolica di Ružomberok, in Slovacchia,
collegandosi alla relazione precedente, ha illustrato le problematiche relative
alla Cecoslovacchia e, in particolare al popolo slovacco. Quest’ultimo incontrò
diverse difficoltà a causa del governo di Praga che volle intervenire negli
affari interni della Chiesa cattolica, volendo per esempio, avvalersi dell’antico
diritto di supremo patronato, espellendo diversi vescovi ungheresi senza alcuna
ragione canonica e suscitando una sorta di Kulturkampf
cecoslovacco che stupì i fedeli slovacchi. La Santa Sede adottò un approccio di
realismo diplomatico, procedendo quasi subito al riconoscimento de facto dei nuovi Paesi sorti sulle
rovine della Monarchia Austro-Ungarica.
La situazione dell’antica arcidiocesi di Gorizia è stata
illustrata dal Prof. Miha Šimac, dell’Università
di Ljubljana, anche tramite le cronache parrocchiali (historia domus) di quella regione tradizionalmente multietnica e
plurilinguistica.
I Paesi baltici sono stati oggetto della
presentazione del Prof. Valerio Perna
dell’Università “La Sapienza”. Egli rilevò come uno degli obiettivi primari
della Santa Sede alla fine della Grande Guerra fosse la missione verso la
Russia e quale ruolo in esso ebbero i Pesi baltici. Uno dei problemi in cui la
Santa Sede s’imbatté fu il conflitto tra la Polonia e la Lituania a causa dell’appartenenza
di Vilnius che ovviamente ebbe delle ripercussioni ecclesiali. In questa
situazione la missione di Mons. Achille Ratti risultò infruttuosa, ma anche gli
altri inviati pontifici come P. Antonio Zecchini e Mons. Luigi Faidutti,
ambedue friulani, incontrò delle difficoltà.
Mons. T. Tóth, Amb. E. Habsburg, Prof. R. Scagno |
Il Prof.
Roberto Scagno, dell’Università degli Studi di Padova ha parlato delle problematiche
relative alla Chiesa cattolica in Romania e del concordato concluso con la S.
Sede nel 1927. La Transilvania, che prima del 1918 non era mai appartenuta alla
Romania, fu durante tutta la sua storia una regione plurietnica e pluriconfessionale
dove viveva la maggioranza dei cattolici sia latini che greci, ungheresi i
primi, romeni i secondi. La Costituzione romena riconobbe ufficialmente la parità
di diritti a tutte le persone ma solo come individui, non come comunità. Dichiarava
la Romania come stato unitario e indivisibile, con la Chiesa ortodossa come
dominante e quella greco cattolica con uno status particolare. La rilevanza del
Concordato del 1927 per la Santa Sede fu quella di essere il primo del genere
concluso con un Paese a maggioranza ortodossa. Gli ortodossi, invece, vi furono
avversi perché lo vedevano come possibile strumento di proselitismo cattolico e
vedevano nel “pericolo cattolico” una espressione dell’”irredentismo magiaro”.
L’ultima relazione della giornata di studio è stata
presentata da Mons. Tamás Tóth,
Segretario Generale della Conferenza Episcopale Ungherese, sulle origini e
la storia del Pontificio Istituto Ecclesiastico Ungherese di cui egli è stato
fino a poco tempo fa rettore. Tale istituzione, nata nel periodo interbellico, è
stata espressione della volontà di un maggiore legame della Chiesa ungherese
con la Santa Sede.
Le conclusioni sono state pronunciate dall’Ambasciatore d’Ungheria Eduard Habsburg-Lothringen
che ha anche presieduto la seconda sessione del convegno. L’Ambasciatore
evidenziato come l’iniziativa abbia voluto gettare una luce particolare sugli
aspetti ecclesiali che forse in altre sedi non erano stati ancora
sufficientemente valutati, nonostante alcune delle relative questioni si fossero
protratte per tutto il secolo appena passato.
Ha, infine, rievocato la valutazione che Papa
Francesco ha voluto dare al centenario della Grande Guerra all’inizio di quest’anno:
“Dalle ceneri della Grande Guerra si possono ricavare due moniti, che purtroppo
l’umanità non seppe comprendere immediatamente, giungendo nell’arco di un
ventennio a combattere un nuovo conflitto ancor più devastante del precedente.
Il primo monito è che vincere non significa mai umiliare l’avversario
sconfitto. La pace non si costruisce come affermazione del potere del vincitore
sul vinto. Non è la legge del timore che dissuade da future aggressioni, bensì
la forza della ragionevolezza mite che sprona al dialogo e alla reciproca
comprensione per sanare le differenze. Da ciò deriva il secondo monito: la pace
si consolida quando le Nazioni possono confrontarsi in un clima di parità”
(Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la
presentazione degli auguri per il nuovo anno, 08.01.2018).
La
giornata di studi si è idealmente collegata al Convegno Internazionale di Studi “Santa Sede e Cattolici nel mondo
postbellico (1918-1922)” organizzata dal Pontificio Comitato di Scienze
Storiche, in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense e l’Accademia
d’Ungheria in Roma per i giorni 14-15-16
novembre 2018. (Vedi programma in pdf.)
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