venerdì 25 maggio 2018

Il ruolo dello stato nella tutela dei cristiani perseguitati – l’esperienza dell’Ungheria


Parlando alla conferenza organizzata dall’Università Pontificia Regina Apostolorum, il 16 maggio 2018, sul tema de “La persecuzione deicristiani nel contesto attuale”, Ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede Eduard Habsburg-Lothringen ha illustrato la relativa politica del Governo ungherese, spiegandone le motivazioni e i principi guida. L’Ambasciatore ha dimostrato come alla base dell’azione ungherese vi siano dei princìpi non solo etici ma anche costituzionali: quello della collaborazione tra Stato e le Chiese, nonché quello della promozione delle comunità nella loro terra natia. Se Viktor Orbán e i suoi ministri parlano spesso e apertamente della difesa dell’identità e delle radici cristiane ciò è dovuto alla consapevolezza che in tempi incerti ed insicuri la politica può essere efficace solo se ancorata a dei princìpi ben saldi.

Pubblichiamo il testo integrale della relazione tenuta dall’Ambasciatore sul tema “Il ruolo dello stato nella tutela dei cristiani perseguitati – l’esperienza dell’Ungheria”.

 
L'Amb. Eduard Habsburg-Lothringen alla conferenza all'UPRA

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Era nell’autunno del 2016 che ha fatto il giro del mondo la notizia che l’Ungheria ha istituito un apposito ufficio governativo per aiutare i cristiani perseguitati. Non sono mancate le voci che vedevano in ciò un collegamento diretto con la politica delle migrazioni del medesimo Governo. Certo, l’azione di un governo è, in fondo, sempre politica ma penso che ciò che fa la vera differenza sia da cercare nelle motivazioni e nelle finalità: in questo caso in quelle del Governo ungherese guidato da Viktor Orbán.

 


Princìpi cristiani nella politica estera ungherese

Ad una conferenza di tre anni fa a Budapest il nostro Ministro degli esteri Péter Szijjártó ha affermato che „il punto di riferimento della nostra politica estera è l’Europa cristiana e, in essa, l’Ungheria cristiana. In un mondo gravato da sfide di tale portata possiamo condurre una politica estera efficace soltanto se la costruiamo su un solido sistema di valori” (Cfr. Rapporti diplomatici tra la Santa Sede e l’Ungheria, 1920-2015, a cura di A. Fejérdy, Libreria Editrice Vaticana, 2016).

Ne ha pure spiegato il perché:  “Il Governo ungherese segue continuamente i cambiamenti di vasta portata e di stupefacente velocità che stanno trasformando il nostro mondo e che ne hanno completamente modificato l’assetto politico, militare ed economico. (…) In questa situazione è importante, per affrontare la realtà, chiamare le cose con il loro nome. Se non lo faremo, valuteremo la situazione in maniera errata e daremo certamente delle risposte sbagliate. (…) Il nostro sistema di valori, il nostro mondo di valori – potremmo dire: la nostra civiltà – sono vittime di un’aggressione. (…) Il Governo ungherese non nasconde la testa sotto la sabbia, nella sua politica estera chiama le cose non il loro nome anche se, così facendo, attira una serie di attacchi su di sé.”

Cosa intenda il Governo ungherese nell’affermare di essere radicato nel cristianesimo lo ha sintetizzato recentemente il Primo ministro Viktor Orbán: “Noi, europei viviamo, anche se non lo ammettiamo, anche se non ne siamo coscienti, in una civiltà ordinata secondo gli insegnamenti di Cristo. Vorrei citare la nota sentenza del fu József Antall, già primo ministro d’Ungheria: in Europa persino l’ateista è cristiano. (…) Il cristianesimo è cultura e civiltà. Viviamo in esso. Non si tratta del fatto quanti ci vadano in chiesa o quanti preghino in modo autentico. La cultura è una realtà quotidiana: come parliamo, come ci comportiamo tra di noi, quanta distanza manteniamo o quanto ci avviciniamo tra di noi, come entriamo e come lasciamo questo mondo. Per gli europei è la cultura cristiana a determinare la morale quotidiana. In situazioni limite è questa che ci fornisce metro di valutazione e direzione. È la cultura cristiana a guidarci tra le contraddizioni della vita, a determinare il nostro modo di pensare sulla giustizia e sull’ingiustizia, sul rapporto tra uomo e donna, sulla famiglia, sul successo, sul lavoro e sull’onore” (v. Intervista a Magyar Idők, 23 dicembre 2017).

E sul perché proprio adesso ciò sia diventato così importante, dice sempre Orbán: “La cultura somiglia al sistema immunitario del corpo umano: finché funziona non ci si accorge neanche. Ci si accorge e diventa importante quando esso s’indebolisce” (v. ibidem). Contro le eventuali accuse di propagare una superiorità o di essere presuntuoso a questo riguardo, il Premier ci tiene a precisare: “Non possiamo certo affermare che la cultura cristiana sia la perfetta. Ma la chiave della cultura cristiana è proprio questa: siamo coscienti dell’imperfezione, pure della nostra propria imperfezione, ma abbiamo imparato a conviverci, a trarne ispirazione e forza. È per questo che noi europei ci sforziamo da secoli a migliorare il mondo. Il dono dell’imperfezione consiste proprio nella possibilità di migliorare.”

Credo sia utile vedere come personaggi del Governo ungherese comprendano il rapporto con il cristianesimo e il ruolo di esso nella vita – anche in quella politica e internazionale. È, quindi, proprio questo atteggiamento a costituire il primo pilastro del “modello ungherese” dell’aiuto ai cristiani perseguitati. Gli altri due pilastri, invece, li potremmo definire costituzionali.

Prima di tutto, nella Legge fondamentale ungherese è sancito il principio della separazione di Stato e Chiese nonché l’autonomia delle Chiese, ma essa prescrive anche un obbligo ulteriore allo Stato: “lo Stato collabora con le Chiese per i fini della comunità” (v. Legge fondamentale d’Ungheria, Art. VII). Si tratta di quello che a suo tempo Papa Benedetto XVI ha detto della “laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa” (Cfr. Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 11 gennaio 2010).

Sempre la Legge fondamentale dichiara pure che, nell’ambito della sua responsabilità per gli ungheresi che vivono oltre confine, l’Ungheria sostiene queste comunità perché possano vivere e svilupparsi nella propria terra natale (v. Legge fondamentale d’Ungheria, Art. D). Questo principio implica la collaborazione con i rappresentanti legittimi di queste comunità: si deve, cioè, chiedere a loro cosa può essergli utile, di cosa hanno veramente bisogno.

Importanza del cristianesimo, obbligo di collaborazione dello Stato con le Chiese e preoccupazione di promuovere il diritto di ciascuno a poter vivere nella sua patria: sono questi i princìpi che guidano il Governo ungherese nel sostenere ed aiutare anche i cristiani perseguitati.

 

Sviluppo dell’aiuto ungherese ai cristiani perseguitati

Già da diversi anni il Governo ungherese stava farcendo quanto poteva in termini di aiuto alle comunità cristiane in Medio Oriente, destinando dei fondi a sostegno dell’istruzione dei bambini, molti dei quali rifugiati nei Paesi limitrofi alla Siria, oppure in Iraq. Gli aiuti governativi venivano affidati normalmente alle varie agenzie caritative religiose, come la Caritas Ungherese, il Malteser International, o il Soccorso Ecumenico Ungherese che sono in grado di farli arrivare a destinazione in modo efficiente.

Alla fine dell’agosto 2016 il Primo ministro ungherese Viktor Orbán, accompagnato dall’allora Ministro per le risorse umane Zoltán Balog, ha assistito ad un incontro con diversi vescovi del Medio Oriente. L’incontro si è svolto nell’ambito di una riunione internazionale di politici cattolici, vicino a Roma. La drammatica testimonianza di questi vescovi e il loro accorato appello ai politici cristiani è stata un’esperienza determinante. Essi hanno chiesto prima di tutto la solidarietà e poi di essere sostenuti nei propri paesi e di essere aiutati a non dover emigrare, che, invece, avrebbe significato la fine delle loro comunità.

Il Primo ministro Orbán, consultato il Ministro Balog ha deciso di “fare qualcosa” di incisivo. Prima di tutto, aumentando notevolmente le somme destinate agli aiuti, ma anche creando un quadro istituzionale adeguato per rendere più efficiente e anche visibile l’azione stessa. Così è stato istituito dal Governo, nell’ottobre 2016, l’Ufficio per l’aiuto ai cristiani perseguitati, guidato da un Vice segretario di stato, incorporato nel Ministero per le Risorse Umane (guidato allora da Zoltán Balog), e posto sotto la direzione politica del Vice ministro Bence Rétvári, anche lui personalmente impegnato in questi progetti.

 

Un ufficio governativo speciale

Lo scopo principale dell’Ufficio è quello di fornire assistenza umanitaria e aiuti allo sviluppo alle comunità cristiane perseguitate nel mondo, con un focus principale sul quelle del Medio Oriente e l’Africa. E, in secondo luogo, quello di analizzare il fenomeno e condurre un’opera di sensibilizzazione.

Gli strumenti di questa azione sono: osservazione e monitoraggio del fenomeno; sviluppo di contatti diretti con le comunità cristiane interessate; sostegno all’azione umanitaria delle varie organizzazioni religiose ungheresi; promozione dell’impegno di volontari e di studiosi; organizzazione di incontri e conferenze per richiamare l’attenzione sul fenomeno della persecuzione; assegnazione di borse di studio a giovani delle comunità cristiane perseguitate; finanziamento diretto di progetti come la costruzione di scuole e spazi comunitari, restauro di chiese, ristrutturazione e rifornimento di ospedali. E, allo stesso tempo, ne è strumento anche la diplomazia: cercare di richiamare l’attenzione dei Governi, soprattutto di quelli occidentali, al fenomeno della persecuzione dei cristiani, sostenere la causa di queste comunità nell’ambito delle varie organizzazioni internazionali e conferenze diplomatiche.

Inoltre, dal settembre 2017 un apposito inviato speciale, un Ambassador-at-large è stato nominato per rafforzare il coordinamento delle varie iniziative ungheresi che siano esse di diretto aiuto ai cristiani perseguitati, classici aiuti allo sviluppo o borse di studio speciali erogate a favore di comunità bisognose. Il nome di questo programma più articolato è, non a caso, “Hungary Helps” – l’Ungheria che aiuta.

L’impegno del Governo è stato sostenuto anche dal Parlamento ungherese con una mozione adottata da tutti i partiti ivi rappresentati. Con la Risoluzione N. 36/2016 del 19 dicembre 2016 l’Assemblea Nazionale Ungherese dichiarava:

  • “Il Parlamento ungherese esprime solidarietà verso tutte le minoranze perseguitate per motivi di religione, nella situazione attuale, specialmente nei confronti delle comunità cristiane del Medio Oriente e dell’Africa.
  • Il Parlamento condanna gli atti di terrorismo, compiuti specialmente dal sedicente Stato Islamico, condanna le varie forme di violenza contro le minoranze delle regioni colpite, dichiara che le efferatezze dello Stato Islamico sono da considerarsi come genocidio contro gli iazidi e i cristiani.
  • Il Parlamento accoglie favorevolmente la partecipazione del Governo dell’Ungheria all’assistenza umanitaria, nonché ogni sua misura a sostegno del ristabilimento della pace e dell’ordine nella regione.
  • Il Parlamento invita il Governo a ricorrere ad ogni forum accessibile per sollecitare azioni efficaci.
  • Il Parlamento invita tutte le nazioni del mondo, in particolare i paesi aventi tradizioni cristiane, a difendere in maniera coraggiosa e risoluta i perseguitati.”

 

I pilastri del “modello ungherese”

Le varie iniziative ungheresi a sostegno dei cristiani perseguitati si concretizzano in tre categorie principali.

La prima è quella della solidarietà. Ed è proprio ciò che i cristiani perseguitati ci hanno detto di apprezzare di più: sapere cioè, che nella loro situazione difficile e drammatica possono contare su un Governo, su un popolo che pensa a loro e cerca di sostenerli.

La seconda è quella della sensibilizzazione: il Governo ungherese cerca di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, ma anche quella dei Governi occidentali, suoi alleati, al fatto che sono i cristiani ad essere la comunità religiosa più perseguitata al mondo; cerca di contribuire a raccontare il dramma che loro stanno vivendo, spesso dando proprio la parola ai diretti interessati; si impegna, inoltre, a mantenere il tema sull’agenda della diplomazia e della politica internazionali, nei vari incontri e nelle diverse organizzazioni.

La terza categoria, infine, è quella degli aiuti concreti di carattere umanitario o di sviluppo.
Solidarietà

Nell’ambito della solidarietà si possono iscrivere le diverse visite compiute dai responsabili ungheresi nella regione medio orientale. Il vice segretario di stato per l’aiuto ai cristiani perseguitati, prima il Sig. Tamás Török, poi, dal settembre 2017, il Sig. Tristan Azbej, si è recato diverse volte in Libano e in Iraq, come pure hanno fatto personalmente il Ministro per le Risorse Umane e il suo vice ministro. L’Eurodeputato ungherese György Hölvényi è stato uno dei principali promotori di queste visite di solidarietà, utili anche per capire i bisogni delle comunità locali, dove è stato spesso accompagnato da diversi religiosi ungheresi.

I capi religiosi delle comunità cristiane perseguitate sono stati a loro volta invitati a Budapest e ricevuti con tutti gli onori dal Primo Ministro o dal suo vice, nonché dai ministri competenti. Potrebbe sembrare una cosa scontata, ma non lo è. Alcuni di questi vescovi per esempio si sono visti negare il visto d’ingresso in qualche paese europeo quando intendevano visitare i propri fedeli già in esilio, ossia emigrati in quel paese.

È stato pure nel segno della solidarietà che l’Ungheria ha concesso la cittadinanza agevolata ad alcune persone in bisogno. Oltre, ovviamente, a concedere l’asilo ai rifugiati propriamente detti che, nonostante l’immagine contraria, è stato sempre fatto, secondo le norme di diritto internazionale. Un caso emblematico è stato quello del gesuita egiziano Padre Henri Boulad SJ. Lui aveva fatto richiesta della cittadinanza ungherese perché, come lui stesso lo ha dichiarato, “apprezzo moltissimo la posizione dell’Ungheria per quanto riguarda la difesa dei valori cristiani europei e la sua posizione sulla crisi migratoria. Considero importantissimo ogni approccio che mira a mantenere la stabilità fisica e morale, nonché l’identità dell’Europa.” La cittadinanza ungherese, inoltre, lo aiuta anche a svolgere il suo ministero in giro per il mondo.
Sensibilizzazione

L’azione di sensibilizzazione svolta dal Governo ungherese si è articolata su diversi livelli. I capi delle comunità cristiane perseguitate hanno tenuto un vero e proprio ciclo di conferenze sulla loro situazione e sulle loro preoccupazioni. Una dozzina di incontri sono stati organizzati in un anno e mezzo in collaborazione tra il vice segretario di stato competente e l’Università Cattolica di Budapest.

Nel gennaio del 2017 è stata promossa una conferenza di diversi think-tank a Budapest per condividere esperienze e analisi e per concertare strategie. Nell’ottobre 2017 invece oltre trecento persone provenienti da 32 paesi hanno partecipato, sempre a Budapest, ad un convegno di due giorni sul tema dell’aiuto ai cristiani perseguitati, dove i capi religiosi di una decina di chiese cristiane hanno portato la propria testimonianza. Nell’ottobre 2017 una mostra speciale sui cristiani perseguitati, dal titolo “Cross in fire” (La croce sotto fuoco) è stata allestita al Museo Nazionale Ungherese, presentando diversi “cimeli” e testimonianze tangibili delle sofferenze dei cristiani nel mondo. La mostra è stata, in seguito, presentata in diverse sedi in Ungheria e all’estero.

Qui bisogna menzionare anche l’apporto delle diverse confessioni cristiane in Ungheria che hanno collaborato a queste iniziative ma hanno anche svolto delle azioni proprie, per esempio delle collette tra i fedeli. Inoltre, Nel dicembre del 2017 le Conferenze Episcopali di cinque paesi dell’Europa Centro-Orientale hanno annunciato, a Budapest, un gesto altamente significativo di concreta solidarietà con i profughi del Medio Oriente. Gli episcopati di Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria (una sorta di Gruppo di Visegrád allargato) hanno deciso di offrire il sostegno comune alla Caritas libanese, a favore dei profughi e dei bisognosi assistiti da essa. Il Soccorso Ecumenico Ungherese (Hungarian Interchurch Aid) ha aperto una sua rappresentanza stabile in Iraq per sostenere efficacemente i bisognosi della zona. Nel 2016 ha stabilito il suo primo ufficio ad Erbil, ed ora un secondo centro a Bashiqa. I due “Returnee Support Center”, cioè i centri che aiutano i profughi che rientrano dopo la guerra, sono sostenuti dal programma Hungary Helps del Governo ungherese.

La diplomazia ungherese cerca di mantenere sull’agenda delle varie riunioni internazionali, dell’ONU o dell’Unione Europea la causa dei cristiani perseguitati. Spesso ci chiedono perché ci concentriamo sui cristiani, come se volessimo con ciò escludere i bisognosi di altre fedi (di operare cioè una discriminazione su base religiosa), se non sia piuttosto controproducente parlare sempre dei cristiani ecc. Prima di tutto lo facciamo perché abbiamo capito che sono i cristiani a subire – soprattutto nei paesi del Medio Oriente martoriati dai conflitti – le più pesanti discriminazioni a causa della loro fede. E poi perché i diretti interessati ci tengono alla nostra solidarietà. Ma anche perché, come accennato all’inizio, il Governo ungherese preferisce chiamare le cose col proprio nome e anche di andare contro corrente. Ma poi, gli aiuti concreti affidati alle comunità locali, di solito vanno anche a beneficio di persone di altre fedi.

Vorrei citare su questo punto di nuovo il Primo ministro Viktor Orbán: “Nel discorso pubblico liberale di oggi non è possibile parlare delle differenze culturali con la dovuta serietà. Se vogliamo avanzare una proposta a favore dei cristiani perseguitati ci rendiamo conto che in campo europeo ciò non sia possibile in questa forma. Si possono produrre solo dei documenti con formulazioni generali e neutre sulle persone perseguitate a causa della loro fede e religione, ma non è possibile scrivere concretamente dei cristiani. Noi abbiamo voluto farla finita con questo approccio. L’Ungheria è un paese cristiano e così noi dobbiamo aiutare in primo luogo quelli che ci sono più vicini, e questi sarebbero i cristiani. Il nostro Governo è di ispirazione cristiana e da questo sorgono anche degli obblighi per il governo” (v. “Magyar Kurír” il 24 settembre 2016).
Aiuti concreti

Negli anni passati il Governo ungherese ha erogato dei contributi per il restauro del patrimonio culturale-religioso in Medio Oriente, come quello della Basilica della Natività a Betlemme o l’Edicola del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Un contributo è stato erogato anche per la costruzione della Chiesa sul luogo del Battesimo di Gesù in Giordania, mentre in Libano verrà finanziato il restauro di diverse chiese danneggiate durante la guerra civile. Ma anche in Siria è stato finanziato qualche restauro, come quello recente della cappella del famoso Krak des Chevaliers, castello degli ospedalieri, danneggiata dai combattimenti.

Dal 2013 è stato rafforzato il programma di borse di studio statali destinati a studenti extra-europei. Quest’anno per esempio sono 5.500 gli studenti che beneficiano di una borsa di studio, chiamato “Stipendium Hungaricum” per gli studi nelle varie università ungheresi (si tratta di corsi in lingua straniera). Provengono da 51 paesi del mondo, la metà dei quali da paesi colpiti da vari conflitti o calamità, come la Siria, l’Iraq, il Libano, la Palestina, il Kenya, la Nigeria o l’Etiopia. Nel 2017, invece, è stata istituita un’apposita borsa di studio per cristiani, la “Scholarship for Christian Young People” di cui in quest’anno accademico hanno beneficiato 67 persone e di cui si prevede un potenziamento. La pastorale universitaria di questi studenti stranieri è pure assicurata grazie alla collaborazione delle diverse Chiese presenti in Ungheria.

In Iraq il Governo ungherese ha sostenuto con 390.000 EUR la costruzione di una scuola cattolica ad Erbil, integrando così la colletta di 260.000 EUR, sostenuta dai fedeli ungheresi. La scuola è stata inaugurata nel marzo di quest’anno dal Ministro Zoltán Balog in persona. Nel paese di Telsquf è stata finanziata la ricostruzione delle case di circa mille famiglie cacciate dalle loro abitazioni dall’ISIS, nonché la ricostruzione di una chiesa e una casa per la comunità. La somma del finanziamento è stata di circa 1,8 milioni di EUR.

Un ulteriore finanziamento di 1 milione di USD è previsto per il progetto della Al-qosh Multi Purpose School and Training Center della Diocesi di Al-qosh della Chiesa Caldea Cattolica.

Con circa mezzo milione di EUR l’Ungheria ha finanziato per un semestre le forniture di medicinali dell’Ospedale S. Giuseppe, sempre in Iraq. Un finanziamento che verrà rinnovato.

Con 465.000 EUR è stato sostenuto il restauro di una chiesa e l’erezione di un seminario della Chiesa Orientale Assira ad Erbíl.

In Giordania il Governo ungherese fornisce assistenza finanziaria per delle scuole cattoliche nonché per dei progetti a favore dei rifugiati, come il progetto “Giardino della Misericordia”, con una somma complessiva di 1,2 milioni di EUR.

In Libano, oltre agli aiuti delle Chiese centro-europee già menzionati, il Governo ungherese ha sostenuto con dei finanziamenti diversi progetti a favore dei tantissimi rifugiati siriani.

In totale 2 milioni di EUR sono stati assegnati a beneficio del Patriarcato di Antiochia dei Siri nonché alla Chiesa Ortodossa Siriana per i loro progetti umanitari in Libano, Iraq e Siria. Ulteriori 2 milioni di EUR sono stati erogati a favore della Chiesa Greco-Melchita di Aleppo, per la costruzione di una scuola e il ritorno dei rifugiati.

Infine, un milione di EUR è stato erogato a favore della Diocesi di Maiduguri in Nigeria, colpita dalla violenza contro i cristiani. Ne verranno finanziate scuole ed ospedali.

 

Conclusione

L’Ungheria non è un paese grande e facoltoso ma, cosciente delle proprie possibilità e responsabilità, nonché delle urgenze dell’attuale periodo storico, cerca di fare del suo meglio per aiutare quelli che ne hanno più bisogno. Ha dovuto, certo, adottare delle scelte e seguire delle priorità, perché chiaramente non può prendersi carico di tutto il mondo. Lo fa sostenuto da quei principi che abbiamo visto all’inizio. E, soprattutto, cerca di fare ciò che i diretti interessati gli chiedono. E questo è stato così riassunto da Mons. András Veres, Presidente della Conferenza Episcopale Ungherese: “I vescovi del Medio Oriente spesso ci chiedevano di non incentivare i cristiani a lasciare la loro terra, poiché una volta partiti non ci torneranno più. Invece, ci hanno chiesto di aiutarli a sopravvivere la guerra”. Speriamo che altri paesi possano fare qualcosa di simile. L’Ungheria è pronta a collaborare.

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