Parlando alla conferenza organizzata
dall’Università Pontificia Regina
Apostolorum, il 16 maggio 2018, sul tema de “La persecuzione deicristiani nel contesto attuale”, Ambasciatore d’Ungheria presso
la Santa Sede Eduard
Habsburg-Lothringen ha illustrato la relativa politica
del Governo ungherese, spiegandone le motivazioni e i principi guida. L’Ambasciatore
ha dimostrato come alla base dell’azione ungherese vi siano dei princìpi non
solo etici ma anche costituzionali: quello della collaborazione tra Stato e le
Chiese, nonché quello della promozione delle comunità nella loro terra natia. Se
Viktor Orbán e i suoi ministri parlano spesso e apertamente della difesa dell’identità
e delle radici cristiane ciò è dovuto alla consapevolezza che in tempi incerti
ed insicuri la politica può essere efficace solo se ancorata a dei princìpi ben
saldi.
Pubblichiamo il testo integrale della relazione tenuta dall’Ambasciatore
sul tema “Il ruolo dello stato nella tutela dei cristiani
perseguitati – l’esperienza dell’Ungheria”.
* * *
Era nell’autunno del 2016 che ha
fatto il giro del mondo la notizia che l’Ungheria ha istituito un apposito
ufficio governativo per aiutare i cristiani perseguitati. Non sono mancate le
voci che vedevano in ciò un collegamento diretto con la politica delle
migrazioni del medesimo Governo. Certo, l’azione di un governo è, in fondo,
sempre politica ma penso che ciò che fa la vera differenza sia da cercare nelle
motivazioni e nelle finalità: in questo caso in quelle del Governo ungherese
guidato da Viktor Orbán.
Princìpi
cristiani nella politica estera ungherese
Ad una conferenza di tre anni fa a
Budapest il nostro Ministro degli esteri Péter Szijjártó ha affermato che „il
punto di riferimento della nostra politica estera è l’Europa cristiana e, in
essa, l’Ungheria cristiana. In un mondo gravato da sfide di tale portata
possiamo condurre una politica estera efficace soltanto se la costruiamo su un solido
sistema di valori” (Cfr. Rapporti
diplomatici tra la Santa Sede e l’Ungheria, 1920-2015, a cura di A.
Fejérdy, Libreria Editrice Vaticana, 2016).
Ne ha pure spiegato il perché: “Il Governo ungherese segue continuamente i
cambiamenti di vasta portata e di stupefacente velocità che stanno trasformando
il nostro mondo e che ne hanno completamente modificato l’assetto politico,
militare ed economico. (…) In questa situazione è importante, per affrontare la
realtà, chiamare le cose con il loro nome. Se non lo faremo, valuteremo la
situazione in maniera errata e daremo certamente delle risposte sbagliate. (…)
Il nostro sistema di valori, il nostro mondo di valori – potremmo dire: la
nostra civiltà – sono vittime di un’aggressione. (…) Il Governo ungherese non
nasconde la testa sotto la sabbia, nella sua politica estera chiama le cose non
il loro nome anche se, così facendo, attira una serie di attacchi su di sé.”
Cosa intenda il Governo ungherese nell’affermare
di essere radicato nel cristianesimo lo ha sintetizzato recentemente il Primo ministro
Viktor Orbán: “Noi, europei viviamo, anche se non lo ammettiamo, anche se non
ne siamo coscienti, in una civiltà ordinata secondo gli insegnamenti di Cristo.
Vorrei citare la nota sentenza del fu József Antall, già primo ministro
d’Ungheria: in Europa persino l’ateista è cristiano. (…) Il cristianesimo è
cultura e civiltà. Viviamo in esso. Non si tratta del fatto quanti ci vadano in
chiesa o quanti preghino in modo autentico. La cultura è una realtà quotidiana:
come parliamo, come ci comportiamo tra di noi, quanta distanza manteniamo o
quanto ci avviciniamo tra di noi, come entriamo e come lasciamo questo mondo.
Per gli europei è la cultura cristiana a determinare la morale quotidiana. In
situazioni limite è questa che ci fornisce metro di valutazione e direzione. È
la cultura cristiana a guidarci tra le contraddizioni della vita, a determinare
il nostro modo di pensare sulla giustizia e sull’ingiustizia, sul rapporto tra
uomo e donna, sulla famiglia, sul successo, sul lavoro e sull’onore” (v. Intervista a Magyar Idők, 23 dicembre 2017).
E sul perché proprio adesso ciò sia
diventato così importante, dice sempre Orbán: “La cultura somiglia al sistema
immunitario del corpo umano: finché funziona non ci si accorge neanche. Ci si
accorge e diventa importante quando esso s’indebolisce” (v. ibidem). Contro le
eventuali accuse di propagare una superiorità o di essere presuntuoso a questo
riguardo, il Premier ci tiene a precisare: “Non possiamo certo affermare che la
cultura cristiana sia la perfetta. Ma la chiave della cultura cristiana è
proprio questa: siamo coscienti dell’imperfezione, pure della nostra propria
imperfezione, ma abbiamo imparato a conviverci, a trarne ispirazione e forza. È
per questo che noi europei ci sforziamo da secoli a migliorare il mondo. Il
dono dell’imperfezione consiste proprio nella possibilità di migliorare.”
Credo sia utile vedere come
personaggi del Governo ungherese comprendano il rapporto con il cristianesimo e
il ruolo di esso nella vita – anche in quella politica e internazionale. È, quindi,
proprio questo atteggiamento a costituire il primo pilastro del “modello
ungherese” dell’aiuto ai cristiani perseguitati. Gli altri due pilastri,
invece, li potremmo definire costituzionali.
Prima di tutto, nella Legge
fondamentale ungherese è sancito il principio della separazione di Stato e
Chiese nonché l’autonomia delle Chiese, ma essa prescrive anche un obbligo
ulteriore allo Stato: “lo Stato collabora con le Chiese per i fini della
comunità” (v. Legge fondamentale
d’Ungheria, Art. VII). Si tratta di quello che a suo tempo Papa Benedetto
XVI ha detto della “laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta
autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana
collaborazione e un senso di responsabilità condivisa” (Cfr. Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno,
11 gennaio 2010).
Sempre la Legge fondamentale
dichiara pure che, nell’ambito della sua responsabilità per gli ungheresi che
vivono oltre confine, l’Ungheria sostiene queste comunità perché possano vivere
e svilupparsi nella propria terra natale (v. Legge fondamentale d’Ungheria, Art. D). Questo principio implica la
collaborazione con i rappresentanti legittimi di queste comunità: si deve, cioè,
chiedere a loro cosa può essergli utile, di cosa hanno veramente bisogno.
Importanza del cristianesimo,
obbligo di collaborazione dello Stato con le Chiese e preoccupazione di
promuovere il diritto di ciascuno a poter vivere nella sua patria: sono questi
i princìpi che guidano il Governo ungherese nel sostenere ed aiutare anche i
cristiani perseguitati.
Sviluppo
dell’aiuto ungherese ai cristiani perseguitati
Già da diversi anni il Governo
ungherese stava farcendo quanto poteva in termini di aiuto alle comunità
cristiane in Medio Oriente, destinando dei fondi a sostegno dell’istruzione dei
bambini, molti dei quali rifugiati nei Paesi limitrofi alla Siria, oppure in
Iraq. Gli aiuti governativi venivano affidati normalmente alle varie agenzie
caritative religiose, come la Caritas Ungherese, il Malteser International, o
il Soccorso Ecumenico Ungherese che sono in grado di farli arrivare a destinazione
in modo efficiente.
Alla fine dell’agosto 2016 il Primo
ministro ungherese Viktor Orbán, accompagnato dall’allora Ministro per le
risorse umane Zoltán Balog, ha assistito ad un incontro con diversi vescovi del
Medio Oriente. L’incontro si è svolto nell’ambito di una riunione
internazionale di politici cattolici, vicino a Roma. La drammatica
testimonianza di questi vescovi e il loro accorato appello ai politici cristiani
è stata un’esperienza determinante. Essi hanno chiesto prima di tutto la solidarietà
e poi di essere sostenuti nei propri
paesi e di essere aiutati a non dover emigrare, che, invece, avrebbe
significato la fine delle loro comunità.
Il Primo ministro Orbán, consultato
il Ministro Balog ha deciso di “fare qualcosa” di incisivo. Prima di tutto,
aumentando notevolmente le somme destinate agli aiuti, ma anche creando un
quadro istituzionale adeguato per rendere più efficiente e anche visibile
l’azione stessa. Così è stato istituito dal Governo, nell’ottobre 2016, l’Ufficio per l’aiuto ai cristiani
perseguitati, guidato da un Vice segretario di stato, incorporato nel Ministero
per le Risorse Umane (guidato allora da Zoltán Balog), e posto sotto la direzione
politica del Vice ministro Bence Rétvári, anche lui personalmente impegnato in questi
progetti.
Un ufficio governativo
speciale
Lo scopo principale dell’Ufficio è quello
di fornire assistenza umanitaria e aiuti allo sviluppo alle comunità cristiane
perseguitate nel mondo, con un focus principale sul quelle del Medio Oriente e
l’Africa. E, in secondo luogo, quello di analizzare il fenomeno e condurre un’opera
di sensibilizzazione.
Gli strumenti di questa azione sono:
osservazione e monitoraggio del fenomeno; sviluppo di contatti diretti con le comunità
cristiane interessate; sostegno all’azione umanitaria delle varie
organizzazioni religiose ungheresi; promozione dell’impegno di volontari e di
studiosi; organizzazione di incontri e conferenze per richiamare l’attenzione
sul fenomeno della persecuzione; assegnazione di borse di studio a giovani
delle comunità cristiane perseguitate; finanziamento diretto di progetti come
la costruzione di scuole e spazi comunitari, restauro di chiese,
ristrutturazione e rifornimento di ospedali. E, allo stesso tempo, ne è
strumento anche la diplomazia: cercare di richiamare l’attenzione dei Governi,
soprattutto di quelli occidentali, al fenomeno della persecuzione dei
cristiani, sostenere la causa di queste comunità nell’ambito delle varie
organizzazioni internazionali e conferenze diplomatiche.
Inoltre, dal settembre 2017 un
apposito inviato speciale, un Ambassador-at-large
è stato nominato per rafforzare il coordinamento delle varie iniziative
ungheresi che siano esse di diretto aiuto ai cristiani perseguitati, classici
aiuti allo sviluppo o borse di studio speciali erogate a favore di comunità
bisognose. Il nome di questo programma più articolato è, non a caso, “Hungary Helps” – l’Ungheria che aiuta.
L’impegno del Governo è stato
sostenuto anche dal Parlamento ungherese con una mozione adottata da tutti i
partiti ivi rappresentati. Con la Risoluzione N. 36/2016 del 19 dicembre 2016
l’Assemblea Nazionale Ungherese dichiarava:
- “Il Parlamento ungherese esprime solidarietà verso tutte le minoranze perseguitate per motivi di religione, nella situazione attuale, specialmente nei confronti delle comunità cristiane del Medio Oriente e dell’Africa.
- Il Parlamento condanna gli atti di terrorismo, compiuti specialmente dal sedicente Stato Islamico, condanna le varie forme di violenza contro le minoranze delle regioni colpite, dichiara che le efferatezze dello Stato Islamico sono da considerarsi come genocidio contro gli iazidi e i cristiani.
- Il Parlamento accoglie favorevolmente la partecipazione del Governo dell’Ungheria all’assistenza umanitaria, nonché ogni sua misura a sostegno del ristabilimento della pace e dell’ordine nella regione.
- Il Parlamento invita il Governo a ricorrere ad ogni forum accessibile per sollecitare azioni efficaci.
- Il Parlamento invita tutte le nazioni del mondo, in particolare i paesi aventi tradizioni cristiane, a difendere in maniera coraggiosa e risoluta i perseguitati.”
I
pilastri del “modello ungherese”
Le varie iniziative ungheresi a
sostegno dei cristiani perseguitati si concretizzano in tre categorie
principali.
La prima è quella della solidarietà.
Ed è proprio ciò che i cristiani perseguitati ci hanno detto di apprezzare di più:
sapere cioè, che nella loro situazione difficile e drammatica possono contare
su un Governo, su un popolo che pensa a loro e cerca di sostenerli.
La seconda è quella della
sensibilizzazione: il Governo ungherese cerca di richiamare l’attenzione
dell’opinione pubblica internazionale, ma anche quella dei Governi occidentali,
suoi alleati, al fatto che sono i cristiani ad essere la comunità religiosa più
perseguitata al mondo; cerca di contribuire a raccontare il dramma che loro stanno
vivendo, spesso dando proprio la parola ai diretti interessati; si impegna,
inoltre, a mantenere il tema sull’agenda della diplomazia e della politica
internazionali, nei vari incontri e nelle diverse organizzazioni.
La terza categoria, infine, è quella
degli aiuti concreti di carattere umanitario o di sviluppo.
Solidarietà
Nell’ambito della solidarietà si
possono iscrivere le diverse visite compiute dai responsabili ungheresi nella
regione medio orientale. Il vice segretario di stato per l’aiuto ai cristiani
perseguitati, prima il Sig. Tamás Török, poi, dal settembre 2017, il Sig. Tristan
Azbej, si è recato diverse volte in Libano e in Iraq, come pure hanno fatto personalmente
il Ministro per le Risorse Umane e il suo vice ministro. L’Eurodeputato
ungherese György Hölvényi è stato uno dei principali promotori di queste visite
di solidarietà, utili anche per capire i bisogni delle comunità locali, dove è
stato spesso accompagnato da diversi religiosi ungheresi.
I capi religiosi delle comunità
cristiane perseguitate sono stati a loro volta invitati a Budapest e ricevuti
con tutti gli onori dal Primo Ministro o dal suo vice, nonché dai ministri
competenti. Potrebbe sembrare una cosa scontata, ma non lo è. Alcuni di questi
vescovi per esempio si sono visti negare il visto d’ingresso in qualche paese
europeo quando intendevano visitare i propri fedeli già in esilio, ossia
emigrati in quel paese.
È stato pure nel segno della solidarietà
che l’Ungheria ha concesso la cittadinanza agevolata ad alcune persone in
bisogno. Oltre, ovviamente, a concedere l’asilo ai rifugiati propriamente detti che, nonostante l’immagine
contraria, è stato sempre fatto, secondo le norme di diritto internazionale. Un
caso emblematico è stato quello del gesuita egiziano Padre Henri Boulad SJ. Lui
aveva fatto richiesta della cittadinanza ungherese perché, come lui stesso lo
ha dichiarato, “apprezzo moltissimo la posizione dell’Ungheria per quanto
riguarda la difesa dei valori cristiani europei e la sua posizione sulla crisi
migratoria. Considero importantissimo ogni approccio che mira a mantenere la
stabilità fisica e morale, nonché l’identità dell’Europa.” La cittadinanza
ungherese, inoltre, lo aiuta anche a svolgere il suo ministero in giro per il
mondo.
Sensibilizzazione
L’azione di sensibilizzazione svolta
dal Governo ungherese si è articolata su diversi livelli. I capi delle comunità
cristiane perseguitate hanno tenuto un vero e proprio ciclo di conferenze sulla
loro situazione e sulle loro preoccupazioni. Una dozzina di incontri sono stati
organizzati in un anno e mezzo in collaborazione tra il vice segretario di
stato competente e l’Università Cattolica di Budapest.
Nel gennaio del 2017 è stata
promossa una conferenza di diversi think-tank
a Budapest per condividere esperienze e analisi e per concertare strategie.
Nell’ottobre 2017 invece oltre trecento persone provenienti da 32 paesi hanno
partecipato, sempre a Budapest, ad un convegno di due giorni sul tema
dell’aiuto ai cristiani perseguitati, dove i capi religiosi di una decina di
chiese cristiane hanno portato la propria testimonianza. Nell’ottobre 2017 una
mostra speciale sui cristiani perseguitati, dal titolo “Cross in fire” (La
croce sotto fuoco) è stata allestita al Museo Nazionale Ungherese, presentando
diversi “cimeli” e testimonianze tangibili delle sofferenze dei cristiani nel
mondo. La mostra è stata, in seguito, presentata in diverse sedi in Ungheria e
all’estero.
Qui bisogna menzionare anche
l’apporto delle diverse confessioni cristiane in Ungheria che hanno collaborato
a queste iniziative ma hanno anche svolto delle azioni proprie, per esempio
delle collette tra i fedeli. Inoltre, Nel dicembre del 2017 le Conferenze
Episcopali di cinque paesi dell’Europa Centro-Orientale hanno annunciato, a
Budapest, un gesto altamente significativo di concreta solidarietà con i
profughi del Medio Oriente. Gli episcopati di Croazia, Polonia, Repubblica
Ceca, Slovacchia e Ungheria (una sorta di Gruppo di Visegrád allargato) hanno
deciso di offrire il sostegno comune alla Caritas libanese, a favore dei
profughi e dei bisognosi assistiti da essa. Il Soccorso Ecumenico Ungherese
(Hungarian Interchurch Aid) ha aperto una sua rappresentanza stabile in Iraq
per sostenere efficacemente i bisognosi della zona. Nel 2016 ha stabilito il
suo primo ufficio ad Erbil, ed ora un secondo centro a Bashiqa. I due “Returnee
Support Center”, cioè i centri che aiutano i profughi che rientrano dopo la
guerra, sono sostenuti dal programma Hungary
Helps del Governo ungherese.
La diplomazia ungherese cerca di
mantenere sull’agenda delle varie riunioni internazionali, dell’ONU o dell’Unione
Europea la causa dei cristiani perseguitati. Spesso ci chiedono perché ci
concentriamo sui cristiani, come se volessimo con ciò escludere i bisognosi di
altre fedi (di operare cioè una discriminazione su base religiosa), se non sia piuttosto
controproducente parlare sempre dei cristiani ecc. Prima di tutto lo facciamo
perché abbiamo capito che sono i cristiani a subire – soprattutto nei paesi del
Medio Oriente martoriati dai conflitti – le più pesanti discriminazioni a causa
della loro fede. E poi perché i diretti interessati ci tengono alla nostra solidarietà.
Ma anche perché, come accennato all’inizio, il Governo ungherese preferisce
chiamare le cose col proprio nome e anche di andare contro corrente. Ma poi, gli
aiuti concreti affidati alle comunità locali, di solito vanno anche a beneficio
di persone di altre fedi.
Vorrei citare su questo punto di
nuovo il Primo ministro Viktor Orbán: “Nel discorso pubblico liberale di oggi
non è possibile parlare delle differenze culturali con la dovuta serietà. Se
vogliamo avanzare una proposta a favore dei cristiani perseguitati ci rendiamo
conto che in campo europeo ciò non sia possibile in questa forma. Si possono
produrre solo dei documenti con formulazioni generali e neutre sulle persone perseguitate
a causa della loro fede e religione, ma non è possibile scrivere concretamente
dei cristiani. Noi abbiamo voluto farla finita con questo approccio. L’Ungheria
è un paese cristiano e così noi dobbiamo aiutare in primo luogo quelli che ci
sono più vicini, e questi sarebbero i cristiani. Il nostro Governo è di
ispirazione cristiana e da questo sorgono anche degli obblighi per il governo”
(v. “Magyar Kurír” il 24 settembre 2016).
Aiuti concreti
Negli anni passati il Governo
ungherese ha erogato dei contributi per il restauro del patrimonio
culturale-religioso in Medio Oriente, come quello della Basilica della Natività
a Betlemme o l’Edicola del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Un contributo è stato
erogato anche per la costruzione della Chiesa sul luogo del Battesimo di Gesù
in Giordania, mentre in Libano verrà finanziato il restauro di diverse chiese
danneggiate durante la guerra civile. Ma anche in Siria è stato finanziato qualche
restauro, come quello recente della cappella del famoso Krak des Chevaliers, castello
degli ospedalieri, danneggiata dai combattimenti.
Dal 2013 è stato rafforzato il
programma di borse di studio statali destinati a studenti extra-europei. Quest’anno
per esempio sono 5.500 gli studenti che beneficiano di una borsa di studio,
chiamato “Stipendium Hungaricum” per
gli studi nelle varie università ungheresi (si tratta di corsi in lingua
straniera). Provengono da 51 paesi del mondo, la metà dei quali da paesi
colpiti da vari conflitti o calamità, come la Siria, l’Iraq, il Libano, la Palestina,
il Kenya, la Nigeria o l’Etiopia. Nel 2017, invece, è stata istituita un’apposita
borsa di studio per cristiani, la “Scholarship
for Christian Young People” di cui in quest’anno accademico hanno
beneficiato 67 persone e di cui si prevede un potenziamento. La pastorale
universitaria di questi studenti stranieri è pure assicurata grazie alla
collaborazione delle diverse Chiese presenti in Ungheria.
In Iraq il Governo ungherese ha
sostenuto con 390.000 EUR la costruzione di una scuola cattolica ad Erbil,
integrando così la colletta di 260.000 EUR, sostenuta dai fedeli ungheresi. La
scuola è stata inaugurata nel marzo di quest’anno dal Ministro Zoltán Balog in
persona. Nel paese di Telsquf è stata finanziata la ricostruzione delle case di
circa mille famiglie cacciate dalle loro abitazioni dall’ISIS, nonché la
ricostruzione di una chiesa e una casa per la comunità. La somma del
finanziamento è stata di circa 1,8 milioni di EUR.
Un ulteriore finanziamento di 1
milione di USD è previsto per il progetto della Al-qosh Multi Purpose School and Training Center della Diocesi di Al-qosh
della Chiesa Caldea Cattolica.
Con circa mezzo milione di EUR l’Ungheria
ha finanziato per un semestre le forniture di medicinali dell’Ospedale S.
Giuseppe, sempre in Iraq. Un finanziamento che verrà rinnovato.
Con 465.000 EUR è stato sostenuto il
restauro di una chiesa e l’erezione di un seminario della Chiesa Orientale
Assira ad Erbíl.
In Giordania il Governo ungherese
fornisce assistenza finanziaria per delle scuole cattoliche nonché per dei
progetti a favore dei rifugiati, come il progetto “Giardino della
Misericordia”, con una somma complessiva di 1,2 milioni di EUR.
In Libano, oltre agli aiuti delle
Chiese centro-europee già menzionati, il Governo ungherese ha sostenuto con dei
finanziamenti diversi progetti a favore dei tantissimi rifugiati siriani.
In totale 2 milioni di EUR sono
stati assegnati a beneficio del Patriarcato di Antiochia dei Siri nonché alla
Chiesa Ortodossa Siriana per i loro progetti umanitari in Libano, Iraq e Siria.
Ulteriori 2 milioni di EUR sono stati erogati a favore della Chiesa Greco-Melchita
di Aleppo, per la costruzione di una scuola e il ritorno dei rifugiati.
Infine, un milione di EUR è stato erogato
a favore della Diocesi di Maiduguri in Nigeria, colpita dalla violenza contro i
cristiani. Ne verranno finanziate scuole ed ospedali.
Conclusione
L’Ungheria non è un paese grande e
facoltoso ma, cosciente delle proprie possibilità e responsabilità, nonché
delle urgenze dell’attuale periodo storico, cerca di fare del suo meglio per
aiutare quelli che ne hanno più bisogno. Ha dovuto, certo, adottare delle
scelte e seguire delle priorità, perché chiaramente non può prendersi carico di
tutto il mondo. Lo fa sostenuto da quei principi che abbiamo visto all’inizio. E,
soprattutto, cerca di fare ciò che i diretti interessati gli chiedono. E questo
è stato così riassunto da Mons. András Veres, Presidente della Conferenza
Episcopale Ungherese: “I vescovi del Medio Oriente spesso ci chiedevano di non
incentivare i cristiani a lasciare la loro terra, poiché una volta partiti non
ci torneranno più. Invece, ci hanno chiesto di aiutarli a sopravvivere la
guerra”. Speriamo che altri paesi possano fare qualcosa di simile. L’Ungheria è
pronta a collaborare.
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