La Verità, Francesco Agnoli, 4 agosto 2018
“Soros ha i soldi e un programma:
gli manca legittimità democratica”
Eduard Habsburg-Lothringen, ambasciatore ungherese presso la Santa Sede: “È
una forza antagonista che vuole influenzare le politiche nazionali. Siamo
europeisti per vocazione, ma crediamo in una Ue rispettosa dell’autonomia dei
singoli Stati”.
Sino a pochi anno orsono l’Ungheria era un paese per noi troppo lontano. La
catastrofe comunista era riuscita quasi a cancellarlo dalla memoria di buona parte
dell’Europa, nonostante tutti avessero conoscenza di un’epoca in cui era
esistito un glorioso „Impero austroungarico”. Chi è nato all’epoca della Guerra
Fredda forse ricorda almeno l’eroica resistenza del cardinale magiaro József
Mindszenty, vittima dei comunisti, ma anche di altri uomini di Chiesa incapaci
di comprendere appieno la profonda nequizia del comunismo.
Da ormai diversi anni, però, l’Ungheria è un paese di cui si parla sempre più
spesso, per il suo ruolo all’interno dell’Unione Europea e per la leadership
forte e discussa del suo primo ministro, Viktor Orban: un uomo che, al pari di
altri politici dell’est Europa, come il polacco Andrzej Duda, da una parte
auspica un’Unione europea meno tecnocratica e sovietica, dall’altra concepisce
la rinascita del proprio paese anche come riaffermazione della sua identità
cristiana.
Per questo ascoltare l’ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede, Eduard
Habsburg-Lothringen, con un cognome così suggestivo e gravido di risonanze
storiche, è quasi un dovere: aiuta a comprendere una visione del mondo che non
solo non è più possibile marginalizzare e demonizzare, ma che forse è anche il
segreto per ricucire il nostro passato europeo con il nostro futuro.
In Italia si parla molto
di Orbán, ma l'informazione è piuttosto manichea. Perché gli ungheresi lo hanno
votato e rivotato?
La
terza ampia vittoria consecutiva dell’alleanza dei partiti Fidesz e Kdnp
(democristiani) è dovuto a diversi fattori. Prima di tutto perché il
Fidesz-Kdnp ha saputo proporre una visione positiva per il presente ed il
futuro del Paese. Una visione di matrice democristiana e moderata nella quale
la maggioranza degli ungheresi si riconosce. Le forze della sinistra liberale,
prima del 2010 hanno portato il Paese in una situazione drammatica, poi, dal
2010 sono stati incapaci di esprimere un’alternativa credibile. Così pure
l’estrema destra che negli anni passati è divenuta la principale forza di
opposizione.
Si dice che Orban sia un
politico autoritario e populista
Viktor
Orbán è un leader eletto democraticamente e a stragrande maggioranza, con una
carriera politica eccezionale. È da decenni, infatti, che si impegna per la sua
patria, con otto elezioni democratiche alle spalle, delle quali quattro perse e
quattro vinte. Non so di altri politici europei che abbiano un simile
risultato.
I paesi dell'Est hanno
un rapporto forte con la loro storia recente: qual è il rapporto dell'Ungheria
con il suo passato novecentesco?
Mi permetta di osservare
che quello di “Paesi dell’Est” è un termine dell’epoca della guerra fredda. Il
suo riaffiorare negli ultimi anni può essere segno che la “cortina di ferro”
forse non è del tutto sparita nella mentalità di molti. I Paesi della nostra
regione si riconoscono come parte orientale dell’Europa centrale, non solo
geograficamente ma anche per cultura e tradizioni. Il XX secolo ha provato
duramente gli ungheresi: basti pensare alla Grande Guerra e al successivo
smembramento del Paese e della nazione con il trattato del Trianon, e poi alle
dittature nazista e comunista. Si tratta di eventi storici i cui effetti si
sentono tuttora nella vita quotidiana. Il
preambolo della legge fondamentale ungherese riassume il nostro recente passato
rilevando che l’autodeterminazione statale fu persa il 19 marzo 1944 e riacquistata
solo il 2 maggio 1990, mentre in quei decenni di occupazione straniera la
costituzione storica dell’Ungheria fu sospesa. Essa proclama, infine, che dopo
i decenni di “decadenza morale” il Paese ha “inevitabilmente bisogno di un
rinnovamento spirituale e morale”. La Legge sulla Coesione Nazionale del 2010
dichiara che, nonostante tutto, la nazione ungherese si sente unita al di sopra
dei confini e che la soluzione ai problemi della regione può essere trovata
solo nella collaborazione tra Paesi sovrani, rispettosi gli uni degli altri
nonché della libertà delle persone e delle loro varie comunità.
Come viene percepita dai
cittadini ungheresi l'Unione europea?
Oggi
oltre il 60% dei cittadini ungheresi ritiene positiva l’essere membri dell’Ue.
In generale l’Europa è stata da sempre vista come quella comunità alla quale
apparteniamo per natura e per vocazione. Il Governo ungherese è molto
favorevole all’integrazione europea. Gli eventuali disaccordi riguardano il
modo di fare l’Europa: noi crediamo in un’Unione rispettosa dell’identità e
dell’autonomia delle singole nazioni. Concordando con quanto detto recentemente
da Papa Francesco ai vescovi ungheresi: l’UE deve essere non una sfera ma un
poliedro.
Perché George Soros è per alcuni un ‘filantropo” e per voi ungheresi un
nemico del paese?
Nel caso di Soros si tratta di un
attore non statale in grado di influenzare le politiche nazionali poiché
possiede tre cose. Prima di tutto consistenti risorse finanziarie, poi
un’agenda che intende realizzare e, infine, una concezione del mondo che, nel
nostro caso, non coincide con quella del governo eletto dal popolo ungherese.
Non ha, per contro, una cosa essenziale: legittimità democratica. Penso che
siano questi fattori a indurre il governo ungherese a trattarlo essenzialmente
come una forza politica antagonista.
Che ruolo ha la fede
religiosa oggi in Ungheria?
L’Ungheria
deve affrontare gli stessi problemi delle società secolarizzate del resto
dell’Europa. Abbiamo però un’esperienza storica per cui il mantenimento della
nostra identità nazionale è in gran parte dovuta al cristianesimo. Non si
tratta di imporre un credo religioso a nessuno ma di essere coscienti che –
secondo le parole del Primo Ministro Orbán – “noi europei viviamo in una civiltà ordinata
secondo gli insegnamenti di Cristo”. Questo significa che “è la cultura
cristiana a guidarci tra le contraddizioni della vita, a determinare il nostro
modo di pensare sulla giustizia e sull’ingiustizia, sul rapporto tra uomo e
donna, sulla famiglia, sul successo, sul lavoro e sull’onore”. Vuol anche dire
che “la nostra cultura è la cultura della vita. Il nostro punto di partenza,
l’alfa e l’omega della nostra filosofia di vita è il valore della vita, la
dignità di ogni persona ricevuta da Dio”. Non a caso la nostra legge fondamentale
prescrive allo Stato l’obbligo di collaborare con le chiese “per fini di
utilità collettiva” e di difendere l’identità cristiana del paese.
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