Il
blog Il Sismografo ha pubblicato, il 27 agosto, un commento del suo Direttore
editoriale, Luis Badilla dal titolo “I muri del Premier ungherese Viktor Orbán e il singolare referendum del 2 ottobre”.
Alle considerazioni ivi esposte l’incaricato d’affari
ad interim dell’Ambasciata d’Ungheria presso la Santa Sede ha voluto rispondere
con la seguente lettera.
* * *
Egregio Direttore Badilla, caro Luis,
incoraggiato dalla Tua disponibilità
a confrontare idee e posizioni, ma soprattutto a comprendere le diverse ragioni
mi permetto di scriverTi qualche commento in relazione al Tuo articolo del 27
agosto su Il Sismografo (I muri del Premier ungherese Viktor Orbán e il
singolare referendum del 2 ottobre).
“In risposta alla crisi migratoria
cui deve far fronte l'UE, l'obiettivo deve essere contenere rapidamente i
flussi, proteggere le nostre frontiere esterne, ridurre la migrazione
irregolare e salvaguardare l'integrità dello spazio Schengen.” – alcuni forse
si stupiranno ma la citazione è tratta dalle Conclusioni del Consiglio Europeo del 18-19 febbraio 2016.
Potrebbe però aiutare a comprendere le ragioni delle misure appena annunciate
dal Primo Ministro ungherese sul potenziamento della recinzione sul confine
meridionale dell’Ungheria. Ragioni che, del resto, non sono cambiate molto
rispetto a un anno fa.
La novità è invero rappresentata dal
referendum che è stato indetto in Ungheria per il 2 ottobre p.v. Esso prende le
mosse da una proposta della Commissione Europea riguardo ad uno schema
obbligatorio di ripartizione dei migranti. Ma la sua vera spiegazione è che si
tratta di una sorta di ultima ratio
in mano al Governo per cercare di far presente a tutti che sull’argomento della
migrazione le istituzioni dell’UE qualche volta sembrano andare oltre le loro
competenze fissate nei trattati.
Nel settembre 2015 il Consiglio dei
Ministri dell’Interno europei ha approvato la proposta di ripartizione di un
certo numero di migranti già arrivati sul territorio UE. Tale proposta però non
incontrava l’assenso di alcuni Paesi membri (come l’Ungheria). Questi erano
contrari sia per questioni di principio che per ragioni pratiche (in effetti,
nel frattempo si è visto che non funziona molto…). Il Consiglio, invece, ha
preferito forzare la decisione, adottandola a maggioranza qualificata. Sarà la
Corte Europea a giudicare se tale decisione era conforme ai trattati o meno.
L’Ungheria vuole far presente che, in
base ai trattati UE, gli Stati membri non hanno rinunciato alla propria
sovranità in tema di migrazioni per cui le istituzioni europee non possono fare
a meno di essi. È questo che il referendum ungherese del 2 ottobre sarà
chiamato, in ultima analisi, a riaffermare.
Altro che voglia di “Unione Europea
a buffet” o di “europeismo carsico”,
si tratta proprio del dovere di tutti gli interessati, sia delle istituzioni
dell’UE che degli Stati membri di attenersi alle norme approvate da tutti. Le
prime non devono approppriarsi di competenze che non le sono proprie, come,
secondo la posizione ungherese, la questione delle quote di ripartizione dei migranti.
Gli ultimi, invece, devono proteggere le loro frontiere esterne. Non sarebbe
per niente un “no all’Unione Europea” (se tale sarà l’esito del referendum),
poiché dai sondaggi è evidente che gli ungheresi sono a favore dell’Europa. Sarà,
semmai, un “no” ad una UE che volesse andare oltre le proprie competenze, che
volesse trattare in modo disuguale gli Stati membri più grandi e quelli più
piccoli, quelli occidentali e quelli “dell’est” (come si è fatto presto a
riesumare questo termine che ormai si pensava fosse superato dall’integrazione
europea…).
Papa Francesco ha dimostrato più
volte di capire “i governi, anche i popoli, che hanno una certa paura” in tema
di migrazioni, e di ritenere “comprensibili e legittime” le preoccupazioni
delle istituzioni e della gente in merito ai problemi dell’integrazione dei
migranti (v. discorsi e conferenza stampa a Lesbo). Ha anche
affermato che “nell’affrontare la questione migratoria non si potranno
tralasciare, infatti, i risvolti culturali connessi, a partire da quelli legati
all’appartenenza religiosa” (v. discorso al Corpo Diplomatico). Siamo grati al Santo
Padre perché, anche in questo campo, nell’indicare i principi da seguire non si
dimostra insensibile ai problemi concreti. Egli non vuole condannare ma solo
incoraggiare a trovare soluzioni nuove e giusti. Ecco, questo sarebbe il vero
compito comune.
Grato per l’attenzione, con cordiali saluti,
Márk A. Érszegi
incaricato d’affari,
Ambasciata d’Ungheria presso la S. Sede
incaricato d’affari,
Ambasciata d’Ungheria presso la S. Sede
Roma, 27 agosto 2016