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S. Messa a Szombathely per il XVII centenario di San Martino (Foto: Magyar Kurír/Attila Lambert) |
È stata presieduta dal Cardinale Dominik Duka
arcivescovo di Praga, Inviato Speciale del Papa, la Santa Messa in onore di San
Martino a Szombathely, nella città che diede i natali al Santo 1700 anni fa. Alla
liturgia celebrata in latino, alla presenza di migliaia di fedeli e delle
autorità statali e cittadine, hanno concelebrato i vescovi dell’Ungheria,
guidati da Mons. András Veres amministratore apostolico di Szobathely e Presidente
della Conferenza Episcopale Ungherese, assieme a tanti altri prelati dall’estero,
nonché il Nunzio Apostolico di Budapest,
Mons. Alberto Bottari de Castello. Il Cardinale Duka ha pronunciato l’omelia,
della quale pubblichiamo alcuni brani.
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Il Card. Dominik Duka inviato speciale del Papa a Szombathely, con Mons. András Veres, Mons. Alberto Bottari de Castello e il Card. Péter Erdő (Foto: Magyar Kurír/Attila Lambert) |
“Martino nacque in una famiglia di militari, figlio
di un ufficiale, come il suo stesso nome vi fa allusione. Marte, infatti, fu il
dio della guerra dei romani. San Martino, invece, entrò nella storia come
ambasciatore di pace che si distinse come persona attenta nell’assistenza e nel
servizio caritatevole verso il prossimo. (…) Dobbiamo considerare che questi
insediamenti militari del II-III secolo furono la base della missione cristiana
nell’Impero Romano, soprattutto nelle periferie di esso. Lo testimoniano gli
scavi archeologici di Colonia, Treviri, Vienna e pure della vostra città.”
“San Martino intraprese la carriera militare, la
sua scelta di vita non fu minimamente legata ad una sorta di pacifismo, come
alcuni studiosi odierni suggerirebbero. Nel momento in cui sentì la chiamata di
Dio, la vocazione di seguire Cristo nel servizio delle anime, Martino riconobbe
che il suo posto non era nell’esercito ma che doveva, invece, servire la
Chiesa.”
“L’Europa
dell’Impero Romano, che all’epoca conobbe un periodo di transizione, venne
trasformata da persone come il vescovo San Martino. In tale contesto, quando lo
Stato s’indebolì o spesso addirittura si paralizzò, la Chiesa riuscì ad
espletare il suo triplice compito che è alla base della nostra civiltà.
Il primo è il culto divino, la rappresentazione del
sacrificio di Gesù Cristo sul Calvario, donatosi per tutti noi una volta per
tutte, con le parole pronunciate nell’ultima cena a Gerusalemme: Questo è il
mio sangue, questo è il mio corpo. Si tratta del sacrificio dell’amore più
puro, della vita data per gli amici. La liturgia cristiana non è un rito o una cerimonia,
il nostro culto divino rappresenta nel modo più completo l’opera d’amore
redentrice di Gesù Cristo. È per questo che si vedono molte immagini di San
Martino che lo raffigurano mentre celebra la messa. Il suo gesto menzionato è
anche una sorta di immedesimazione con il sacrificio del Golgota.
Il secondo grande compito della Chiesa, che San
Martino ci presenta, è l’annuncio del Vangelo, la catechesi, l’organizzazione
di un sistema educativo. Se volessimo confrontare l’abbazia di Pannonhalma ed
il suo liceo con i monasteri fondati da Martino troveremmo molte somiglianze.
Il terzo compito della Chiesa, il servizio al
prossimo, la diaconia o carità Martino lo espletò in una maniera fino ad allora
sconosciuto, divenendo un modello per i vescovi, non solo nella Gallia, ma dappertutto
nell’Impero Romano.
Evocando in questa maniera la storia di San Martino,
da Szombathely fino a Tours, ci troviamo davanti tutta la storia della Chiesa
fino ai giorni nostri. È oltremodo conveniente evocare la nostra storia comune,
nella quale, quasi un millennio dopo, delle donne coraggiose hanno svolto un
servizio di diaconia e di carità nella regione centro-europea, tutte
appartenenti alla Casa degli Árpád. Santa Elisabetta venne dall’Ungheria, in
Polonia troviamo Santa Kinga (Cunegonda) e in Boemia Sant’Agnese (di Praga).
Sappiamo che costoro non s’ispirarono tanto a San Martino quanto piuttosto a
San Francesco d’Assisi. È stato quest’ultimo ad ispirare profondamente anche il
nostro papa attuale che enfatizza così tanto il servizio caritativo e sociale
della Chiesa, ridestando il mondo, specialmente quella parte di esso dove i
cuori sono stati anestetizzati dall’opulenza.”
“Chi non
conosce il passato non capisce neanche il presente. È per questo che abbiamo
evocato nei dettagli la storia della Chiesa e quella del vostro Paese. È per
questo che abbiamo ricordato l’ideale di compassione umana rappresentata dalle
sante donne del XIII secolo. Dobbiamo dirlo: se il presente non lo viviamo in
questo spirito non avremo neanche un futuro.”
(Traduzione in base al
testo ungherese tratto dal sito ufficiale Magyar Kurír)